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Perché la Russia non potrà mai essere sconfitta

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La ritirata di Napoleone da Mosca

Gli imperialisti della supremazia bianca americana hanno sognato di sconfiggere e smembrare la Russia almeno fin dagli anni ’20 e dall’inizio degli anni ’30, quando la maggior parte dell’élite americana – composta da artisti del calibro di John D. Rockefeller, J. P. Morgan, Andrew Mellon, Henry Ford, William Randolph Hearst, Joseph Kennedy (padre di John e Robert), e Prescott Bush (padre di George H. W. Bush e nonno di George W. Bush) – aveva deciso di finanziare massicciamente Hitler e il partito nazista, al fine di sradicare la “bastarda” Unione Sovietica e nel frattempo anche gli ebrei d’Europa – anche se il loro tentativo di colpo di stato contro Franklin Delano Roosevelt fallì miseramente (e Roosevelt perdonò comunque i suoi compagni patrizi “per il bene del paese”. Che altro?)

Appena il riarmo in massa della Germania prese il via, furono le fabbriche tedesche di Ford, General Motors, General Electric e Alcoa che costruirono la maggior parte dei carri armati e degli aerei da guerra della temuta Wehrmacht di Hitler, mentre Dupont e Standard Oil (oggi Exxon) fornirono il carburante sintetico. Da parte sua, la Coca-Cola fornì tonnellate della bibita alla caffeina preferita in Germania, per mantenere svegli i piloti della Luftwaffe per i loro bombardamenti a lungo raggio.

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Soldati tedeschi catturati condotti nei campi di prigionia a Stalingrado, 1943.

Il sistema di schedatura dell’IBM, a sua volta, ha reso possibile l’Olocausto su scala industriale: secondo una stima, questo ha portato alla morte non solo di 6 milioni di ebrei, ma anche da 5,5 a 7 milioni di ucraini, 3,3 milioni di prigionieri di guerra russi, 2 milioni di civili russi, 3 milioni di polacchi, e 1,5 milioni di jugoslavi. Ciò che marcava queste popolazioni non ebraiche per lo sterminio era il fatto che erano tutti presunti slavi “di sangue puro” o “di sangue misto” – che Hitler elencava insieme con gli ebrei come Untermenschen (cioè subumani) nel Mein Kampf (testo che i neonazisti dell’Ucraina “ariana” citano spesso con l’approvazione in relazione agli slavi ucraini e russi fino a oggi).

Gli imperialisti ariani americani davano per scontato, naturalmente, che la Wehrmacht tedesca avrebbe travolto quei “subumani” ortodossi russi. Ma dopo mesi di combattimenti da casa a casa, e perfino da camera a camera, furono i nazisti ad arrendersi a Stalingrado, il 2 febbraio 1943. A quel punto, il capo dell’Office of Strategic Services, un ricco ex avvocato di Wall Street, Allen Dulles , si rese conto che Hitler avrebbe presto perso la guerra; e che spettava ora agli Stati Uniti, come unica superpotenza capitalistica rimasta, di indossare il mantello invisibile del fascismo come unica ideologia abbastanza solida per difendere il capitalismo divino contro il comunismo senza Dio con il suo sogno demoniaco di uguaglianza economica. Quale povero contadino o lavoratore non avrebbe votato per la parità di ricchezza se ne avesse avuto la possibilità? Ecco perché le democrazie sono disastrose per l’1%, pensava Dulles. Il fascismo era l’unica via: fare in modo che le masse si sentissero eccezionali – non uguali. E se esigevano ancora la loro quota equa, erano da fucilare! I nazisti avevano già fatto quella parte alla perfezione.

“Allora perché non utilizzare questi compagni ariani?”, pensò Dulles. E se ne uscì con un piano di tradimento a beneficio dell’1%, che nascose a Roosevelt morente. Il piano consisteva nell’avere i migliori nazisti, generali, funzionari dei servizi segreti, scienziati, e trasformarli in americani, piuttosto che in sovietici. Poi, dopo la “ripulitura” dei loro dossier dalle atrocità che potevano aver fatto per il Terzo Reich (o per proprio divertimento), potevano essere spediti nella direzione “giusta”. I migliori e più brillanti sono stati inviati in America per lavorare nei servizi segreti o alla difesa o, nel caso di Werner Von Braun, sono stati messi a capo del nostro programma missilistico. Il peggio del peggio era invece contrabbandato in Sud America per iniziarvi movimenti fascisti. O se erano figure davvero, davvero maligne di alto profilo – come Josef Mengele o Adolf Eichmann, mettiamo – si poteva semplicemente dire loro: “Trovatevi una spiaggia dove sdraiarvi e godervi i vostri ricordi”. Il resto è stato collocato in posizioni di potere e di influenza nel governo tedesco del dopoguerra o altrove.

Facciamo un salto a oggi, e gli imperialisti americani hanno molto di cui essere orgogliosi. Il comunismo è morto, così come lo è il nazionalismo arabo, tranne che in Siria sotto Bashar al-Assad. Purtroppo per me, come cristiano, lo è anche la teologia della liberazione in Sud America. Vi immaginate l’arcivescovo Romero colpito al cuore mentre celebrava la messa all’altare? Il sangue della sua vita misto al sangue di Cristo? C’è mai qualcosa che le nostre élite fasciste non ordinerebbero di fare ai loro squadroni della morte? E magari ridendoci su?

Guardate Hillary Clinton mentre scoppia a ridere istericamente alle ultime notizie della mutilazione e omicidio di Muammar Gheddafi per mano dei nostri terroristi “moderati”.

“Siamo venuti. Abbiamo visto. È morto.” Gracchia con gioia satanica – usando il “noi” imperiale. Che mostro di depravazione! Hanno appena assassinato quell’uomo – dopo averlo sodomizzato con una baionetta, e lei ne è totalmente inebriata! Arriva anche a rivendicare tutti i meriti a se stessa (questa è atrocità satanica!), collegando la mutilazione/omicidio del presidente libico al suo viaggio che lei aveva fatto a Bengasi. Cosa vorrebbe farci pensare? Che ha dato lei ai “nostri” terroristi precise istruzioni di violentarlo prima con una baionetta? Lei storpia anche la famosa frase di Cesare per sottolineare il suo commento da squilibrata.

Crede di essere un altro Cesare. È arrivata a tale punto di squilibrio demoniaco. Vuole dimostrare al mondo di avere le “palle” più grosse di tutti – anche se non ne ha. I suoi tailleur-pantalone non ingannano nessuno.

Putin non si comporterebbe mai così. Nemmeno in un milione d’anni! È un uomo di gran lunga troppo morale un uomo – troppo compassionevole – troppo ortodosso per vantarsi di aver in qualche modo incitato un linciaggio per mutilare e uccidere un uomo indifeso. Come Gesù ci dice in Matteo 25:40, questa è la stessa cosa di incitare un linciaggio per mutilare e uccidere Cristo stesso.

Di fatto, gli amici di Putin riferiscono che Putin ha provato un estremo senso di colpa per la mutilazione / omicidio di Gheddafi, dopo essersi lasciato ingannare da quegli americani dalla lingua biforcuta ad approvare una risoluzione delle Nazioni Unite che, a quanto credeva, autorizzasse la NATO solo a trattenere Gheddafi dal commettere genocidio contro la popolazione di Bengasi, ma che in realtà era intenzionalmente formulata in modo vago, in modo da dare alla NATO carta bianca per fare quello che le piaceva – perfino uccidere Gheddafi in questo modo pervertito.

Incolpare se stessi per essere stati ingannati non significa esagerare con un senso di responsabilità? Molti psicologi potrebbero dire così. Ma da psicologo cristiano, con oltre 40 anni di formazione e di esperienza (se tale numero biblico vi dice qualcosa), vorrei dire che la profondità del suo senso di colpevolezza mostra la profondità della sua compassione. E la profondità della sua compassione mostra la profondità della fede ortodossa di Putin.

Non che Putin sia eccezionale in questo senso. Anzi, al contrario. È un tipico uomo ortodosso nella profondità della sua fede. Questa è la base della sua enorme popolarità e potenza. Lui è proprio come loro. Lui è l’uomo comune. E questo è il motivo per cui i fedeli ortodossi hanno tanta fiducia in lui. È un uomo semplice che parla in modo semplice. E mentre questo può averlo portato a pensare troppo facilmente che ci si può fidare che gli americani mantengano la loro parola, Putin è uno che impara in fretta; e non si lascerà ingannare di nuovo da loro. Non ha avvertito Gesù stesso in Matteo 7:15 di diffidare degli uomini che: “vengono a voi in veste di pecore,” ma dentro sono “lupi rapaci”?

Putin ha pensato ci si potesse fidare pure di Erdoğan. Ma dopo che l’aereo russo è stato abbattuto, ha visto il “lupo rapace” anche in Erdoğan. E quando si tratta di elargire il giusto castigo, Putin ha tanta pazienza cristiana quanto chiunque altro.

Questo è il motivo per cui l’Occidente satanico non potrà mai sconfiggere la Santa Russia. Anche se l’Occidente ha da tempo perso gli ormeggi cristiani, come Hillary Clinton dimostra così bene, la pazienza non è una debolezza. Né lo sono la modestia, l’umiltà e la compassione. Queste sono qualità personali di Putin. (Se lo guardate su RT, è possibile vederle). Ma non sono le sue uniche virtù. Anche se io non sono russo, direi dai miei rapporti con molti russi come psicologo nel corso degli anni che queste qualità particolari caratterizzano gli ortodossi russi devoti come Putin. Ecco perché la maggior parte dei russi si fida di Putin – sia che siano ortodossi o meno. Conoscono il tipo. E gli uomini in possesso di virtù ortodosse diventano guerrieri cristiani invincibili: basta chiedere a Hitler. I nostri generali invece hanno tratto la lezione sbagliata dalla seconda guerra mondiale, e hanno deciso che gli alleati avrebbero battuto i nazisti da sola (il serpente ha sussurrato più o meno così alle loro orecchie) ancor più velocemente se solo le nostre truppe avessero abbracciato le “virtù” sataniche di orgoglio, crudeltà e demonizzazione del nemico . E noi abbiamo demonizzato le nostre truppe fin da allora – con i risultati che si possono vedere.

Ma la Russia ha anche una sorta di arma amorevole che l’ha a lungo protetta. Quest’arma è vedere tutta la Russia come Madre (in russo: Россия-Матушка). Pensateci per un secondo. La Germania non ha una madrepatria, solo una ‘padrepatria’ (Vaterland). E gli Stati Uniti non hanno nemmeno quella. Se qui si va a vedere un film patriottico, per esempio, su un cecchino americano che fa saltare le teste di indifesi “inturbantati”, un gruppo di ex marines tatuati può alzarsi e gridare: “USA, USA, USA!!!” Ma noi non abbiamo una madrepatria. La Francia ha cercato di piantarne il seme con la Statua della Libertà nel porto di New York. Ma una madre dovrebbe aprire le braccia a tutti i suoi figli – anche quelli di pelle bruna. E il governo americano non ha voluto uomini di pelle bruna “stanchi e poveri” sulle nostre coste, per cui l’idea di una madrepatria non si è mai veramente radicata. In realtà, abbiamo la tendenza a sterminare o a schiavizzare i non bianchi. Hitler ha perfino detto di aver preso la sua politica razziale da noi!

La Russia, d’altra parte, è sempre stata una terra multireligiosa, multiculturale, multietnica di abbondanti risorse, che si estende su 12 fusi orari. Così è sempre stato naturale pensare a “lei” come a una madre. Cos’è infatti una madre? Una che nutre e protegge i suoi figli. E quando crescono fino all’età adulta, i suoi figli e figlie, a sua volta, la proteggono e si prendono cura di lei. Così il concetto di Madre Russia suscita sentimenti di amore, lealtà e protezione che vanno molto, molto oltre le nozioni post-rinascimentali di stato-nazione e il tipo di patriottismo che un dato stato-nazione – in particolare sotto l’egida dell’austerità – potrebbe suscitare. Coloro che vedono la Russia come loro madre le daranno per difenderla la vita stessa che essa un tempo ha dato a loro.

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Articolo di William Wedin pubblicato da Russia Insider


Immagine satellitare di aerei russi alla base siriana di Hmeymim

Ucraina – Le Maschere della Rivoluzione

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Sottotitoli in Italiano a cura di A.Trovato

La tragedia ucraina

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lagarde_poroshenkoA Kiev non si muove foglia che l’Occidente non voglia ma la congiuntura resta ugualmente disastrosa. E’ in atto una crisi di governo pesantissima che sta aggravando una situazione socio-economica già catastrofica. Chi può lascia il paese cercando fortuna altrove, in Europa o in Russia. Gli odiati vicini attirano ancora tanti ucraini perché nemmeno la propaganda riesce a cancellare secoli di storia comune tra i due popoli, ed è molto più facile farsi accogliere lì che dalle nostre parti. Infatti, gli europei non mostrano grande solidarietà verso gli sfortunati ucraini. In Olanda si terrà a breve un referendum sull’adesione di quest’ultimi alla famiglia europea e gli umori dei locali sono contro Kiev. I socialisti olandesi ritengono che “l’Accordo Ucraina-UE è un male per l’Ucraina, è un male per l’Europa e un male per noi. L’Ucraina merita il nostro sostegno, ma non al trattato”. E lanciano l’appello a chiudere le porte in faccia ai pretendenti dell’est. L’esecutivo ucraino non l’ha presa bene ed ha messo in moto i suoi servizi d’intelligence per far naufragare la consultazione. Gli hacker di Cyberberkut hanno rivelato dell’esistenza di una lettera del capo dei servizi esteri ucraini a Poroshenko nella quale si suggerisce “l’attuazione di una serie di misure volte a far fallire il referendum, per tutelare gli interessi nazionali ucraini”. Forse un attentato? Ecco che razza di lestofanti si è portata in casa l’UE con le sue campagne per l’esportazione della democrazia.

Le finanze del paese sono comunque a secco ed il FMI prima di concedere ulteriori fondi richiede sacrifici aggiuntivi ad una popolazione allo stremo. I numeri dell’economia ucraina sono impietosi, dal 1991 solo lo Zimbabwe ha fatto peggio di Kiev in termini di PIL. Lo conferma l’agenzia S&P. Ed il futuro potrebbe riservare ulteriori peggioramenti, vista l’incapacità della leadership ucraina a risolvere le sue beghe che sfociano in conflitti tra bande di gangster.

Gli aiuti esteri arrivano sotto forma di ulteriori ricatti e svendite degli asset nazionali che finiscono in mani estere. Un fondo americano, il FranklinTempleton, detiene buona parte del debito dello Stato ucraino, circa 6 mld di dollari.

Corruzione e ruberie di stato continuano senza sosta e con più aggressività, visto lo stato di perenne confusione e assenza di legalità in cui versano le istituzioni. Le campagne di lustrazione hanno fatto fuori funzionari minori della burocrazia e delle imprese strategiche lasciando intatti i soliti interessi di casta ed i meccanismi coi quali i principali gruppi di potere continuano ad appropriarsi del denaro pubblico. Le oligarchie prosperano come ai tempi di Yanukovic. Forse di più.

Presidente e Premier, che rappresentano i nuovi padroni stranieri, tedeschi e americani, sono ai ferri corti ma nessuno dei due intende fare un passo indietro per il bene della nazione, nonostante entrambi si rimpallino le responsabilità del cataclisma politico, economico e sociale in corso. Dopo di loro il diluvio ma è già apocalisse. Yatseniuk è sotto il tiro del partito di Poroshenko, il Blocco, che ha chiesto le sue dimissioni ma in aula la mozione di sfiducia contro il Premier non ha raggiunto lo scopo per una ventina di voti. Gli americani hanno fatto da scudo al loro protetto ed invitato tutti alla calma. Joe Biden ha chiamato Poroshenko e Arseniy Yatsenyuk al fine di “ripristinare la fiducia della gente.” Nemmeno l’ex Presidente sedicente simpatizzante di Mosca aveva navigato così in basso nel gradimento popolare. La Casa Bianca però non vuole mollare la presa per evitare che Kiev ritorni nella sfera egemonica russa. L’Ucraina è oramai balcanizzata sia socialmente che territorialmente. Persa la Crimea, ritornata a casa dopo i regali sovietici, il Donbass resta fuori controllo, insieme alle sue risorse minerarie e industriali, saldamente in mano alle milizie filorusse. Tutto ciò esaspera il clima generale generando spirali depressive più vaste. Da un lato il settarismo nazionalistico di alcune fazioni politiche preme per ulteriori sforzi militari, insostenibili da parte di uno Stato nemmeno capace di assicurare l’assistenza sanitaria alla sua gente, dall’altro continuano a decadere le vecchie infrastrutture produttive e commerciali del Paese, iugulate da un fisco vorace che risponde agli organismi finanziari internazionali e non ai suoi cittadini e per la caduta delle esportazioni a causa della chiusura dei mercati russi. In alcune zone agricole si è tornati addirittura a forme di autoconsumo per la sopravvivenza mentre le multinazionali fanno incetta dei terreni migliori per poche grivne svalutate.

Contadini, pensionati e disoccupati sono tutti sul piede di guerra ma vengono bastonati alla vecchia maniera. Majdan non ha mutato certi sistemi violenti di risoluzione dei conflitti sociali. Ma chi glielo ha fatto fare agli ucraini? Valeva la pena cambiare bandiera, rinnegando l’amicizia con i russi, per Bandera? Dopo molte promesse ricevute da certi sobillatori forestieri sono rimasti con un pugno di mosche in mano. Non era meglio Mosca a portata di mano?

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Articolo di Giovanni Petrosillo, pubblicato il 20 Febbraio 2016

L’Ipotesi Tecnosferatu

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Il mio prossimo libro, Restringere la Tecnosfera: Come dominare le tecnologie che limitano la nostra autonomia, auto-sussistenza e libertà, sarà disponibile questo autunno dall’editore New Society Publisher. Sono circa a metà nel correggere la prima bozza del manoscritto. Ecco un estratto.

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Talvolta può sembrare che la tecnosfera vada contro il suo stesso scopo. Qual’è il senso nello sprecare risorse in armi, quando c’è già abbastanza materiale militare per ucciderci tutti numerose volte, ancora e ancora? Qual’è il senso di contaminare l’ambiente con tossine chimiche a lunga durata e isotopi radioattivi che scatenano alte percentuali di cancro nei servitori umani della tecnosfera? Quale scopo c’è nell’incoraggiare livelli estremi di corruzione dei governi e delle banche nel mondo, o nel creare le condizioni per una estrema iniquità sociale? In che modo tutto ciò aiuta la tecnosfera a crescere più forte e più determinata nel tentare di provocare conflitti internazionali e dividere il mondo in fazioni in guerra? Si tratta solo di fallimenti o sono giusto problemi troppo piccoli per essere di qualche importanza? Oppure – ecco una considerazione scioccante – si potrebbe forse riassumere in una perfetta strategia da parte della tecnosfera.

Se guardassimo più da vicino, scopriremmo che tutte le manifestazioni della tecnosfera, nonostante a livello superficiale possano sembrare problemi, sono di fatto un sostegno per la tecnosfera, in più modi correlati tra loro. Aiutano la tecnosfera a crescere, divenire più complessa e dominare completamente la biosfera. Ci sono troppi problemi per riuscire a rintracciarli tutti, esaminiamone alcuni tra i più importanti – quelli a cui mi riferivo poco sopra.

Parlando di cancro, sarebbe una buona idea minimizzarne gli effetti tenendo composti chimici cancerogeni e contaminazione radioattiva lontana dall’ambiente, ed eliminando microonde e radiazioni ionizzanti. Tuttavia, dal punto di vista della tecnosfera, tutto ciò non sarebbe ottimale. Per prima cosa violerebbe una delle sue prime direttive, dare priorità agli interessi della biosfera a discapito dei suoi bisogni primari. Secondariamente, ciò limiterebbe il bisogno di un intervento tecnico. Il trattamento del cancro è un tour de force per la tecnosfera, le permette di usare le sue tecniche preferite – la chimica (nella forma della chemioterapia) e la fisica (sotto forma di radioterapia) –  per uccidere cose viventi (cellule cancerogene, ecco cosa). Terzo, si asterrebbe dall’opportunità di esercitare controllo sulle persone, forzarle a servire e obbedire, per timore che vengano loro tolte le costosissime terapie salva-vita contro il cancro. Ciò che è ottimale per la tecnosfera, dunque, è una situazione dove ciascuno riceve un cancro curabile, e nessuno ha la speranza di sopravvivere senza una chemioterapia, o una terapia a base di radiazioni. Alla tecnosfera piace che noi si sia pazienti, e i pazienti medici lo sono per definizione.

Quando si tratta di incoraggiare livelli estremi di corruzione nei governi e nelle banche, anche questo sembra inizialmente essere contro-produttivo: in fondo non produrrebbe migliori risultati un settore finanziario basato sulla legge, efficiente, e un governo morale trasparente? Si, ma risultati per chi? Un governo morale e regolamentazioni bancarie appropriate servirebbero gli interessi degli… umani! Esatto, sarebbe come se la biosfera si appropriasse dei benefici ancora una volta! Dal punto di vista della tecnosfera, è più efficiente far corrompere dalle banche i rappresentanti di governo, convogliando attraverso di loro denaro attraverso una varietà di schemi; i rappresentanti dei governi si rifiuteranno dunque di introdurre regolamentazioni, o di perseguire le banche per i loro crimini. Non appena si raggiunge questo livello di corruzione, la lealtà dei rappresentanti non ricade più sulle entità viventi, complicate e ostinate, conosciuti anche come “elettori”, ma a simboli astratti di benessere, che sono molto più semplici da manipolare per la tecnosfera, al fine di ottenerne un vantaggio massimo.

Infine, non sarebbe molto più d’aiuto se ci fosse la pace nel mondo, un governo mondiale unito e benevolente piuttosto che una umanità continuamente divisa in fazioni combattenti? Forse, ma cosa farebbe aumentare l’abilità della tecnosfera di uccidere persone? Quando le grandi nazioni devono prepararsi costantemente alla guerra, sono costrette ad armarsi da sole, per riuscirci devono industrializzarsi – per svilupparsi e mantenere una base industriale indipendente. Se non fosse per la necessità di primeggiare nelle corse agli armamenti, alcune nazioni potrebbero preferire astenersi dal perseguire l’industrializzazione e rimanere agrarie ma, a causa della minaccia della guerra, la scelta è tra industrializzazione e sconfitta.

La guerra ha altri benefici. La guerra richiede spade, che quando la guerra è finita vengono battute in aratri; ciò conduce a incrementi nell’efficienza agricola che rendono sovrabbondante il lavoro del contadino, e lo allontanano dalla terra per portarlo alla città, dov’è costretto a lavorare in fabbriche, incoraggiando ulteriormente l’industrializzazione. La guerra offre ad armate industrializzate una facile via per sterminare o schiavizzare le tribù non industrializzate, che sarebbero altrimenti un pessimo esempio di persone in grado di vivere felicemente fuori dalla tecnosfera. Come ultima cosa, senza una potente macchina da guerra, la gente sarebbe capace di organizzarsi da sola e provvedere alla propria sicurezza, rendendosi più difficili da controllare, mentre l’esistenza di potenti armi militari rende necessario che la sicurezza venga messa nelle mani di un’organizzazione saldamente controllata, strettamente disciplinata, tecnocratica, gerarchia – esattamente del tipo che la tecnosfera preferisce.

Sembra dunque che la tecnosfera, vista come un organismo, possieda una sorta di primitiva intelligenza emergente. Se questa affermazione sembra essere una congettura stravagante, paragonatela dunque all’ipotesi di Gaia di James Lovelock. Secondo Lovelock, tutti gli organismi viventi che abitano la biosfera della Terra possono essere visti come un singolo super-organismo. E’ un sistema complesso che si auto-regola, interagisce con gli elementi inorganici del pianeta in modo tale da renderlo abitabile. Le sue funzioni di base includono la regolazione della temperatura, la concentrazione di vari gas nell’atmosfera e la salinità degli oceani. Questa abilità della biosfera di mantenere l’equilibrio omeostatico e regolarlo nel caso di possibili eruzioni vulcaniche e impatti di asteroidi, può essere visto come l’emergere di un’intelligenza che si batte per la più grande complessità e diversità possibile nella rete della vita. Nonostante sia in qualche modo controversa, e non testabile direttamente, l’ipotesi di Gaia è presa alquanto sul serio da una varietà di discipline accademiche.

Presa in questo contesto, la mia ipotesi – chiamiamola l’ipotesi Anti-Gaia – sembra molto meno stravagante. E’ capitato che la tecnosfera si sia innalzata al di sopra e in contrasto a Gaia e alla biosfera, possiede una sicura intelligenza primitiva emergente che le permette di crescere in complessità e potere per dominare la biosfera a livelli ancora maggiori.

A differenza di Gaia, che è un organismo fine a se stesso, la tecnosfera è un parassita sopra la biosfera, usa gli organismi viventi come fossero macchine, si batte il più possibile per sostituirli con macchine. E’ perfettamente ovvio se si considera l’agricoltura industriale, che rimpiazza ecosistemi complessi con una semplice, meccanizzata, monocoltura fertilizzata chimicamente. La fattoria industriale, dove gli animali sono confinati in una sorta di inferno meccanizzato, è un perfetto esempio di come la tecnosfera preferisca trattare altre forme di vita superiori. Quando è il turno di noi umani, il miglior esempio dell’influenza della tecnosfera è la moderna corporazione, dove la gente è incentivata (di fatto, è richiesto dalla legge) ad agire come perfetti psicopatici, inseguendo ciecamente profitti per gli azionisti a discapito di tutti i bisogni umani. In politica, la tecnosfera dà la nascita a macchine politiche, che trattano i loro elettori come  animali da laboratorio, condizionandoli a premere certe leve nelle macchine elettorali, a seconda di quali stimoli siano stati loro inviati dai mass media.

A differenza di Gaia, che si batte per mantenere l’equilibrio omeostatico, questa intelligenza lotta per il disequilibrio – per la crescita continua, che, su un pianeta ristretto con limitata disponibilità di risorse non rinnovabili, è ovviamente un binario morto – “morto” come “estinto”. Per compensare a tutto ciò, la tecnosfera sogna conquiste universali (con l’aiuto di alcuni umani che ne sono alla mercé): sogna di creare una razza di robot che possano auto-riprodursi e viaggiare nello spazio. Sogna di abbandonare alle spalle questo pianeta esausto e devastato, colonizzare altri mondi – mondi con molte più risorse non rinnovabili da sperperare e, cruciale, una nuova biosfera da dominare e distruggere. Questo ultimo pezzo è molto importante, perché l’esistenza della tecnosfera perde ogni significato senza entità viventi che può forzare ad agire come macchine. Senza una biosfera da distruggere, la tecnosfera diventa un robot cieco e sordo, che fischia a sé stesso nell’oscurità. Senza la miracolosa, meravigliosa virtù che è la vita, la tecnosfera non può nemmeno aspirare ad essere cattiva – solo banale. “Dispositivo nello spazio! Yawn…”

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Articolo di Dmitry Orlov, pubblicato il 23 Febbraio 2013
Traduzione in Italiano a cura di Sascha Picciotto per SakerItalia.it e ClubOrlov

La Saker Community cerca uno sponsor per il server

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tier_0_serversCari amici,

In passato siamo stati abbastanza fortunati grazie ad un generoso sponsor che ha coperto i costi del server in Islanda.
Questa persona si è ritirata dalla sua mansione e non può più continuare a sostenerci. Stiamo cercando di trovare un nuovo sponsor disposto a donare i fondi necessari per i servers. I nostri sono hostati da Advania, e i costi sono i seguenti: 786 Euro ogni sei mesi, per essere esatti. In dollari equivale a 873 dollari, secondo il corso attuale. Significa 1746 dollari all’anno.

Visto che si tratta di un aspetto cruciale delle nostre operazioni (5 su 6 blog della comunità Saker lavorano su questi servers) speriamo che uno sponsor (una persona o un gruppo di persone) si farà avanti e accetterà di coprire questi costi.

Se potete aiutarci o se conoscete qualcuno, per favore scrivetemi una mail.

Per favore, NON mandate alcuna somma di denaro in questo momento.

Fino ad oggi la nostra comunità ha realizzato numerosi “miracoli”, e spero che si ripeta anche questa volta. Vi terrò aggiornati, ovviamente.

Molte grazie e cordiali saluti

Il Saker

Gli europei stanno a guardare il fallimento totale in Ucraina

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Selection_092Dato che la situazione politica in Ucraina continua a deteriorare – con il governo paralizzato a seguito della lotta di potere tra Poroshenko e Jatsenjuk – gli europei sono sempre più disperati, e sempre più frustrati con gli ucraini la cui intransigenza prolunga la crisi.

Tuttavia gli europei non hanno alcuna strategia di uscita e sono di fronte a un fallimento totale.

Il motivo è la crescente rabbia in tutta Europa verso la politica delle sanzioni, e un senso crescente che si stia chiudendo rapidamente la finestra diplomatica per trovare un modo di salvare la faccia, revocando le sanzioni prima che l’influenza europea si esaurisca completamente.

Il problema degli europei è che si sono impegnati a mantenere le sanzioni fino a quando saranno portate a termine le condizioni di Minsk II.

Quando hanno preso questo impegno, però, gli europei non sono riusciti a prendere la precauzione di base di collegare la revoca delle sanzioni non solo all’adesione russa a Minsk II, ma anche all’adesione ucraina.

Dal momento che le disposizioni di Minsk II in realtà richiedono che la parte ucraina intraprenda la maggior parte delle azioni, questo fallimento non solo ha negato l’influenza europea sugli ucraini. Ha dato agli ucraini un incentivo perverso a sottrarsi ai propri impegni di realizzare Minsk II, dal momento che in questo modo possono obbligare gli europei a continuare le sanzioni.

Nel frattempo l’opposizione alla politica delle sanzioni è in crescita, sia in Europa settentrionale sia in Europa meridionale.

In Europa settentrionale l’opposizione alle sanzioni è concentrata in piccoli ma molto potenti circoscrizioni. In Europa meridionale invece è pressoché universale.

L’Europa meridionale non è mai stata molto interessata all’Ucraina o al suo conflitto e non ne sostiene o ne capisce il gioco geopolitico.

La cultura politica dell’Europa meridionale rende anche gli europei del sud in gran parte immuni al moralismo auto-interessato tipico degli Stati Uniti e degli europei del nord, e che è stato utilizzato per mobilitare il sostegno al movimento del Majdan in Ucraina.

I neocon non sono neanche lontanamente così influenti nell’Europa meridionale come lo sono nell’Europa settentrionale, e gli europei del sud non si sentono tanto ossessivamente ostili alla Russia quanto lo sono molti europei del nord.

Gli europei del sud considerano di essere stati forzati in una politica di sanzioni con le quali fondamentalmente non sono d’accordo, e che considerano controproducenti e irrazionali.

Il più potente leader del sud europeo, l’italiano Renzi, non nasconde quasi il suo disaccordo con questa politica, e la maggior parte degli altri leader europei del sud è d’accordo in privato con lui.

L’Europa meridionale, tuttavia, non ha di per sé la forza di cambiare una politica concordata dai più potenti Stati europei – Germania e Francia.

Tale politica è però ora sempre più in discussione in Germania e in Francia: in Germania, da parte di una larga parte della comunità imprenditoriale tedesca, e in Francia da parte degli agricoltori francesi.

Questi ultimi sono una potente lobby politica, che nessun governo francese può ignorare, in particolare con le elezioni in corso.

Con le elezioni presidenziali nel 2017 in Francia, il governo francese è stato costretto a rassicurare i contadini che “sta facendo tutto il possibile” per ottenere che le contro-sanzioni russe che vietano le esportazioni alimentari europee verso la Russia siano revocate.

Ma come il governo francese sa, tuttavia, questo non può accadere a meno che prima non siano revocate le sanzioni dell’UE.

Questo dà al governo francese un forte incentivo a far revocare le sanzioni, che a sua volta significa un forte incentivo a raggiungere una soluzione del conflitto ucraino.

Cosa ancora più importante della costante crescita dell’opposizione alla politica delle sanzioni, è la sensazione che si stia chiudendo rapidamente la finestra dell’influenza diplomatica europea.

È difficile sapere fino a che punto i leader europei siano informati sullo stato dell’economia russa. Tuttavia, anche i più compiacenti tra loro dovrebbero ormai sapere che non sta per crollare sotto il peso delle sanzioni, e che la politica russa nei confronti dell’Ucraina non cambierà a causa loro.

Le aspettative che le sanzioni avrebbero fatto in modo che gli oligarchi russi costringessero Putin alle dimissioni a meno che questi non cambiasse rotta – che è ciò che il servizio segreto tedesco, il BND, a quanto pare ha detto a Merkel che sarebbe avvenuto prima che l’UE imponesse le sanzioni – si sono rivelate completamente sbagliate.

Quanto alla rivoluzione popolare in Russia contro Putin che qualcuno si aspettava, con la popolarità di Putin superiore all’80%, anche i leader europei più deliranti non possono più credere che accadrà.

È possibile anche che i meglio informati dei leader europei – tra cui il ministro degli Esteri tedesco Steinmeier – conoscano la terribile verità – che non solo l’economia russa è sopravvissuta alle sanzioni, ma che la sua recessione terminerà a breve.

Tutto questo indica il paradosso delle sanzioni. Mentre per i russi il costo è consistito in una spesa di partecipazione, e ora è in diminuzione ogni mese che passa – e il loro effetto complessivo si sta dimostrando effettivamente utile – per gli europei il danno è in crescita – sia economicamente che politicamente.

Per gli europei la ripresa economica – o peggio ancora un boom – della Russia, mentre le sanzioni sono ancora in atto, sarebbe un disastro umiliante.

Dimostrerebbe che la Russia è fondamentalmente immune alle sanzioni, e denuncerebbe il fallimento totale di tutta la politica delle sanzioni.

Esporrebbe anche i leader europei come Angela Merkel e Francois Hollande alle critiche per aver imposto una politica di sanzioni che ha finito per danneggiare l’Europa e i loro paesi più della Russia.

Le imprese tedesche e gli agricoltori francesi che hanno perso affari a causa delle sanzioni sarebbero – a buona ragione – furiosi.

Strapperebbe via anche ogni illusione sugli europei e sul loro potere.

In diplomazia mantenere una parvenza di potere è almeno altrettanto importante quanto il potere stesso. Uno stato o un gruppo di stati che perdono la parvenza del loro potere rischiano di non essere più presi sul serio.

Ciò significa in questo caso che gli europei devono essere in una posizione in cui possono almeno far finta che le sanzioni siano ancora importanti per la Russia quando verranno revocate, e che i russi stiano dando qualcosa in cambio.

Ovviamente gli europei non possono affermare credibilmente una cosa del genere se, quando toglieranno le sanzioni, la Russia si troverà nel bel mezzo di un boom.

È proprio perché gli europei hanno anche bisogno di dimostrare che i russi stanno dando qualcosa in cambio per la fine delle sanzioni, che hanno collegato la revoca delle sanzioni a Minsk II.

Il successo dell’attuazione di Minsk II permetterebbe agli europei di far finta che ciò sia avvenuto attraverso i loro sforzi. Potrebbero quindi revocare le sanzioni e pretendere di avere vinto.

Poiché Minsk II è stato redatto dai russi, questa sarebbe sembrata una strategia a basso rischio. Dopo tutto, ci si aspetterebbe che i russi vogliano implementare un accordo di cui hanno redatto termini.

Quello che gli Europei hanno trascurato – o non hanno mai considerato – era che potevano essere i propri protetti ucraini – non i russi – a non riuscire a implementare Minsk II. Questa però è proprio la posizione in cui si trovano ora gli europei.

Questo non avviene perché il governo ucraino è tenuto in ostaggio dalle milizie di destra, ma perché Minsk II contraddice tutta la filosofia e lo scopo della “rivoluzione” del Majdan il cui obiettivo principale è quello di creare un Ucraina unitaria, monolingue e monoculturale, distanziata dalla il più possibile Russia.

Ho discusso tutto questo in un articolo pubblicato da Russia Insider nel gennaio 2015, alla vigilia della battaglia di Debaltsevo. Ecco ciò che avevo detto in quell’occasione:

“La verità di base sulla crisi in Ucraina e della sua guerra – quella verità che molti, soprattutto in Occidente, rifiutano di riconoscere – è che la fazione che ha preso il potere in Ucraina attraverso il colpo di stato del febbraio 2014 è strutturalmente incapace di negoziazione o compromesso con quelli che ritiene i suoi avversari.

(…) In breve, L’intero scopo del colpo di stato del febbraio 2104 è stato di dare alla fazione che detiene il potere ora in Ucraina potrebbe il dominio illimitato della società ucraina, che è il suo unico modo per attuare la sua visione di un’Ucraina unitaria, monolingue e monoculturale per sempre distanziata dalla Russia.

Data la diversità della società ucraina, non può scendere a compromessi con i suoi avversari, perché farlo comprometterebbe l’intero progetto che è la ragione della sua esistenza e la giustificazione della sua presa di potere.

Ecco perché ha agito nel mese di febbraio per eliminare dalla vita politica ucraina la fazione che era prima al potere in Ucraina e perché continua ora a impegnarsi per eliminare i suoi avversari nel Donbass”.

Tutto questo resta vero oggi come lo era allora.

Continuerà a essere vero a prescindere da quale leader del Majdan detiene il potere in Ucraina. Non importa se quel leader è Poroshenko, Timoshenko, Jatsenjuk, Kolomoiskij, Tjagnibok, Parubij, Ljashko, Klichko, Jarosh o qualcun altro. Nessun politico ucraino fedele al Majdan è capace di quella sorta di compromesso che Minsk II richiede, ed è un errore fondamentale pensare che, perché i politici ucraini del Majdan sono impegnati in costanti lotte tra fazioni, alcuni di loro sono più “moderati” su questi temi rispetto ad altri.

Fino a oggi gli europei hanno chiuso gli occhi su questa realtà. E ora la stessa realtà li colpisce in piena faccia.

È per questo che – di fronte all’intransigenza totale degli ucraini ma volendo porre fine al conflitto prima che svanisca la loro influenza finanziaria e la loro credibilità – si dice che il ministro degli esteri tedesco Steinmeier e il ministro degli Esteri francese Ayrault si rechino a Kiev “complètement exacerbés”.

Gli europei sono caduti nella stessa trappola in cui si è trovato Janukovich durante le proteste del Majdan.

Come gli europei, Janukovich ha cercato di venire a patti con i leader del Majdan come se fossero persone ragionevoli.

Ciò che Janukovich ha scoperto ogni volta che pensava di aver siglato un accordo era che i leader del Majdan semplicemente lo rinnegavano, intascando le sue concessioni, continuando le loro proteste, e tornando con ancor più richieste.

I leader ucraini del Majdan si sono comportati esattamente nello stesso modo durante il conflitto ucraino.

Nell’aprile 2014 hanno accettato di fare modifiche costituzionali concedendo maggiore autonomia alle regioni dell’Ucraina.

Hanno rinnegato tale accordo e nel corso dei mesi successivi hanno cercato di schiacciare l’opposizione nelle regioni orientali dell’Ucraina con la forza.

Dopo la loro sconfitta nell’agosto 2014 hanno deciso di concedere uno statuto speciale al Donbass, con trattative da seguire per raggiungere una soluzione politica (Minsk I).

Non sono riusciti a onorare questi impegni e nel gennaio 2015 hanno di nuovo attaccato il Donbass.

Nel febbraio 2015 – dopo essere stati sconfitti ancora una volta – ancora una volta hanno deciso di concedere lo statuto speciale al Donbass. Hanno inoltre accettato di negoziare direttamente con i leader del Donbass, per concordare con loro i termini delle elezioni nel Donbass, e per concordare con loro cambiamenti alla costituzione dell’Ucraina, che dovevano essere seguiti da nuove elezioni tenute prima della fine di dicembre 2015 (Minsk II).

Ancora una volta non sono riusciti a onorare questi impegni. Nell’agosto 2015 hanno cercato di attaccare di nuovo il Donbass, solo per essere dissuasi dal farlo dagli europei.

Nel mese di ottobre 2015 al vertice di Parigi, hanno rinnovato la loro promessa di attuare le disposizioni di Minsk II, questa volta in accordo con un nuovo calendario predisposto dai francesi, che avrebbe portato alla concessione dello statuto speciale per il Donbass e a tenere elezioni nel mese di marzo.

Ancora una volta non sono riusciti a mantenere uno qualsiasi di questi impegni. Ora è marzo e non uno degli impegni presi nel mese di ottobre è stato onorato. Invece i rapporti dal Donbass parlano di nuovi scontri.

Non è quindi sorprendente che Steinmeier e Ayraut siano “complètement exacerbés”.

Di fronte all’intransigenza ucraina, gli europei hanno cercato di ottenere qualcosa che possono far passare come un “progresso”, chiedendo ai russi di annacquare i termini di Minsk II, per permettere almeno di tenere elezioni nel Donbass alle condizioni ucraine nella prima la metà di quest’anno.

Il recente commento di Juncker che l’Ucraina non aderirà alla NATO o all’UE per 20-25 anni (che in pratica significa mai) dovrebbe essere visto in questo contesto.

È stato inteso come un contentino ai russi, rendendo pubblico ciò che era già stato concordato privatamente nel febbraio 2015 a Mosca e a Minsk, al fine di ottenere che i russi ammorbidiscano la loro posizione su Minsk II.

I russi però non intendono fare niente a proposito. Come chiarificano le loro dichiarazioni pubbliche in materia di Minsk II, sono implacabili. Hanno respinto tutti i tentativi di annacquare Minsk II. Insistono che l’Ucraina rispetti le sue condizioni alla lettera.

È impossibile evitare la sensazione che, attraverso il loro cieco sostegno al movimento del Majdan, gli europei si siano infilati in una trappola.

Una escalation di supporto per l’Ucraina sta diventando politicamente impossibile soprattutto in considerazione dell’intransigenza dell’Ucraina e della sua crescente crisi politica.

Il ritiro – che comporterebbe prendere finalmente una forte posizione pubblica contro il Kiev chiedendole di implementare Minsk II in pieno con una minaccia di sanzioni se non riesce a farlo – è comunque politicamente molto difficile, ed è probabilmente impossibile finché Merkel rimane cancelliere della Germania, considerato quanto capitale politico ha investito nell’Ucraina.

L’alternativa, tuttavia, è l’umiliazione totale quando si perderà qualunque pretesa di influenza che sia ancora rimasta, e questa è la prospettiva che ora gli europei hanno di fronte.

Ora probabilmente è solo una questione di mesi prima che la ripresa economica in Russia sbugiardi la politica di sanzioni degli europei – e con essa tutta la loro politica ucraina – come un bluff che è stato smascherato.

Il fatto che stiano incominciando a comprenderlo nelle capitali occidentali trova conferma nel più improbabile dei luoghi – nei commenti del presidente degli Stati Uniti Obama – l’autore ultimo della politica delle sanzioni – nelle recenti interviste rilasciate alla rivista Atlantic. Ecco cosa ha detto:

“L’Ucraina è un interesse centrale dei russi, ma non degli americani, quindi la Russia sarà sempre in grado di mantenervi un dominio di tensione.

“Il fatto è che l’Ucraina, che non è un paese della NATO, sta per diventare vulnerabile al dominio militare da parte della Russia, a prescindere da quello che facciamo”, ha detto.

Ho chiesto a Obama se la sua posizione in Ucraina era realista o fatalista.

“È realista”, ha detto. “Ma questo è un esempio di dove dobbiamo essere molto chiari su quali sono i nostri interessi fondamentali e ciò per cui siamo disposti ad andare in guerra”.”

In altre parole, l’Ucraina conta per i russi, ma non per l’Occidente, ed sono i russi che vi detengono le carte vincenti ( “dominio di tensione”).

Questo è ciò che Russia Insider ha continuato a dire tutto il tempo.

Ci sono voluti due anni, una guerra civile, migliaia di morti, un collasso economico, una crisi di governo, un ormai default inevitabile e il fallimento della politica delle sanzioni, perché i leader occidentali iniziassero ad accorgersene.

Ora è di gran lunga troppo tardi per evitare l’umiliazione che è fin troppo evidentemente in arrivo.

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Articolo di Alexander Mercouris pubblicato da TheSaker.is il 15 Marzo 2016
Traduzione a cura della Parrocchia Ortodossa di Torino

News dalla Terra Dei Pazzi: stipendi, inflazione, maionese e prezzi al consumo

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Grazie ai miei amici agenti sul campo X e Y (non posso dare i loro nomi, altri menti li arrestano) ho fatto una simpatica indagine sui prezzi al consumo e sul costo della vita.

Il risultato è stato scoraggiante, il costo delle bollette e del cibo è ampiamente al di sopra delle pensioni e degli stipendi normali, rendendo, di fatto, estremamente difficile sopravvivere.

Prendiamo come base lo stipendio minimo, e, sempre per essere realistici utilizziamo come riferimento lo stipendio di una commessa in uno dei paesini a 70-100 km da Kiev.
Sei giorni di lavoro, minimo sette ore al giorno , a 1000 Grivnie al mese, circa 30 euro.

Più o meno la stessa cifra li guadagna un pensionato con la minima.

Ora, vediamo cosa si fa a Kiev con mille Grivnie.

1) due cene al ristorante giapponese, senza acqua e vino, of course.

2) 350 Grivnie manicure e 650 pedicure, ovvero lo stipendio di un mese della commessa. Duemila euro colore e taglio dei capelli, senza esagerare.

3) due manghi  molto belli, al Domosfera, arrivati via aerea dal Sud America, sempre 1000 Grivnie.

4) Un filetto mignon al beef , ristorante di lusso.

5) due bistecche con contorno al Pasternack, di lusso ma meno caro.

6) ci lavi il cane con toelettatura completa nel posto dove vanno i VIP.

Ora vediamo le spese della commessa di cui parlavamo prima, prende 1000 grivnie al mese lavorando nelle cittadine lontane qualche decina di chilometri da Kiev, tipo Kuzhin, Bila Tzherka, Malin, ecc.

Prende il solito stipendio di mille grivnie, probabilmente in nero, e paga altrettanto per l’affitto di un miniappartamento di venti metri quadri, e millequattrocento, d’inverno per il gas.
Adesso che il primo aprile il gas passa da 7 grivnie al metro cubo a 11 le cose si faranno più difficili.

Ma  Kiev va meglio?

Guardiamo gli stipendi:

Dipendenti pubblici e lavoratori da ufficio:  4000 grivnie/mese.

Commesso in negozio : 2200 Grivnie/mese

Gestore di ristorante di lusso : 5000-6000 grivnie mese

Cameriere, sempre nel suddetto ristorante: 3500 Grivnie/mese.

Pensioni di contabili e dipendenti statali, ovunque: 1300 Grivnie/mese.

C’è poco da scialare, dato che anche solo fare il pieno all’auto, con il gasolio e la benzina quasi ad un euro o un taglio di capelli, possono intaccare gravemente il bilancio mensile.

Il problema non è come mai ci sia questa differenza tra ricchi e poveri; è evidente che il Colpo di Stato di due anni fa ha esacerbato grandemente il problema, quei maledetti manghi a quindici euro l’uno saranno pure comprati da qualcuno, giusto?

La domanda, a cui non si sa ancora dare risposta è come faccia la gente normale a sopravvivere.

Ci sono diversi fattori da tenere in considerazione:

1) semplicemente le bollette non le pagano, solo nei mesi scorsi sono state istituite delle penali per gli inadempienti, e chi non paga da tempo può vedersi pignorata la casa da aprile in poi, grazie ad una nuova legge.

2) Ogni famiglia ha un emigrato in Europa o in Russia, e i soldi che arrivano servono per sopravvivere. Ogni badante ucraina nel Belpaese ha mediamente un’orda di figlie, sorelle e nipoti da mantenere e un parimenti cospicuo numero di parenti maschi alcoolizzati.

3) si vende di tutto, chi vende il corpo, chi armi provenienti dal fronte e tanti piccoli traffici, illegali o meno. Chi ha due soldi da parte attrezza un’auto e va in centro città a vendere caffè e biscotti ai passanti, per esempio, e poco che incassi guadagnerà sempre di più di un dipendente.

4) la dieta, per via della scarsità di soldi il piatto principale della tavola della gente normale, in tutto il paese sono le patate, fritte in oli strani oppure bollite e condite con la maionese. Maionese che viene venduta in latte da un litro come quella in foto, a poco più di un euro , oppure sfusa in bidoni da 20-25 litri, a molto meno. Ingredienti misteriosi e una percentuale di grasso, leggibile dall’etichetta, del 74%, in pratica oli vegetali con uova in polvere e poco altro.

Ovviamente, gas a parte, che costa sempre uguale, tutto il resto a Kiev costa quattro volte più caro che in provincia, vanificando la differenza degli stipendi, che, come al solito adesso sono appena sufficienti per sopravvivere.

Altri mi hanno confermato che in Pietroburgo e a Mosca, città russe dove gli stipendi sono almeno quattro volte quelli ucraini, il cibo, la benzina e altro costa molto meno, rendendo possibile acquistare e consumare carne e verdure, persino d’inverno.
Un esempio per i cari trollini ucraini?
La carne di maiale a due euro o meno al chilo, in negozi belli; fate i confronti con Kiev e poi riferite.

Cosa appare chiaramente, da questa mia esposizione di dati?

Semplice, la situazione è fuori controllo, con lo Stato che non riesce neanche a imporre una parvenza di controllo dei prezzi; poi, per effetto della corruzione molti hanno tanti soldi da spendere, e i prezzi degli articoli di lusso sono cresciuti a dismisura.

I commercianti, inoltre, che si vedono erodere i margini dall’inflazione , praticano ricarichi incredibili sui prodotti.

Per una automobile , non di lusso, è normale sentirsi chiedere 500 euro per un tagliando, tanto il solo fatto di averla dimostra che sei “ricco”, non oso immaginare cosa succederebbe a chi si presentasse al concessionario con una Ferrari o una Maserati.

Delinquenza fuori controllo con i reati, omicidio compreso, che crescono di 4-8 volte ogni anno, prostituzione compresa.
Ormai in Russia le ucraine dominano completamente il mercato, e il 90 per cento dei video porno provenienti dall’est europa è interpretato da performers ucraini.

Come andrà a finire?

Io una idea ce l’ho: da una parte le prime agenzie  cominciano ad alzare il Rating della Russia, grazie anche al fatto che il debito pubblico sale e le riserve auree e monetarie crescono.

Dall’altra a Kiev pare abbiano sbagliato le previsioni, il calo del PIL nel solo mese di febbraio è statoi poco meno del tre per cento, e il trend negativo continua.

Sempre a Kiev nelle classi medie, ovvero i funzionari ministeriali e nei piccoli imprenditori comincia a serpeggiare la frase “io al Maidan non c’ero”, come a volersi distaccare dal governo golpista, un sentimento o molto pericoloso, dato che si può essere arrestati nella civilissima e europea Ucraina per alcuni commenti su di un blog o per aver importato libri russi contenuti nel bagaglio.
Nel frattempo nei media continuano a essere pubblicate notizie come “stiamo vincendo la guerra” o “è tutta colpa dei russi”, con sempre più rabbia e odio, ma la gente comincia a fregarsene, presa dal problema della sopravvivenza.

Nel frattempo alcuni giornalisti fanno esternazioni tipo: “non diciamo cavolate, in tutto l’est del paese ai carri armati russi verrebbero infilati fiori nei cannoni, non resisterebbero certamente”.
Per poi sentirsi dire dal solito nazifrocio galiziano presente che :” in quel caso dobbiamo uccidere o deportare tutti gli abitanti dell’est del paese, altrimenti non vinceremo mai!”

Andrà a finire male per molta gente, temo, prima che sia finita.

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Articolo di Nuke The Wales per liberticida.blogspot.it


Perché l’Ucraina ora ha bisogno della Russia più che mai

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A gennaio, il presidente dell’Ucraina Petro Poroshenko si è congratulato con il paese per essere riuscito a sopravvivere al suo primo inverno senza l’acquisto di gas russo. Ha invece comprato del gas europeo che, come Poroshenko ha sottolineato con orgoglio, era del 30% più costoso.

Questo riassume il problema centrale che l’economia ucraina si trova di fronte. Non è la corruzione, un problema serio per cui si può fare poco nel breve periodo, ma la scelta ideologica di recidere tutti i legami con la Russia, il paese che è stato storicamente il suo principale partner commerciale e il suo maggior investitore.

In poco più di un anno, gli standard di vita in Ucraina sono dimezzati, la moneta ha perso il 350% del suo valore, e l’inflazione è salita alle stelle al 43%. Tuttavia, anche se l’economia è crollata, il governo ha insistito su una politica economica che può essere definita solo suicida.

Strappati i contratti con la Russia nel 2014, le industrie della difesa e dell’aviazione dell’Ucraina hanno perso l’80% del loro reddito. Una volta orgoglio di Kiev, la compagnia di costruzioni aeree Antonov è andata in bancarotta, e il produttore di motori per razzo Juzhmash ora sta lavorando solo un giorno alla settimana.

Recidendo i legami bancari con Mosca, Kiev si è negata investimenti e un’ancora di salvezza economica fondamentale – le rimesse inviate a casa dagli zarobitchane, i lavoratori migranti ucraini. Fino a sette milioni di ucraini lavorano in Russia, e hanno inviato a casa 9 miliardi di dollari nel 2014 – tre volte il totale dell’investimento estero diretto che l’Ucraina ha ottenuto l’anno scorso.

Lo sconsiderato debito pubblico ha esacerbato il problema. Il governo è stato in grado di cancellare il 20% del suo debito Eurobond lo scorso ottobre, permettendo così di negoziare la nuova tranche del prestito del FMI che era prevista nel mese di dicembre, ma che ancora non è stata ricevuta.

Ma le condizioni draconiane imposte per questa minuzia sono spesso trascurate. L’Ucraina dovrà ripagare questo debito fino al 2041, con le future generazioni che daranno ai creditori occidentali fino alla metà della crescita del PIL del Paese, se questa dovesse mai raggiungere il 4% all’anno.

Il presidente ucraino Petro Poroshenko seguito dal presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko e dal presidente russo Vladimir Putin dopo i colloqui a Minsk

C’è un filo comune che lega il comportamento economico irrazionale del governo – il comprensibile desiderio di fare dispetto a Vladimir Putin. Ahimè, è il cittadino medio ucraino che ne paga il prezzo. Non ci può essere alcun dubbio che Poroshenko approvi questo approccio. Nel suo primo discorso del 2016 ha annunciato nuove priorità per l’economia ucraina. Il governo intende porre fine ai sussidi per la produzione e l’industria, e invece promuovere gli investimenti nelle tecnologie dell’informazione e nell’agricoltura.

Non è affatto chiaro, tuttavia, dove venderà questi prodotti, dal momento che con la firma di un accordo di libero scambio con l’UE, l’Ucraina ha perso il suo accesso preferenziale al suo più grande mercato, la Russia.

Nel frattempo, la certificazione Ue consente solo a 72 società ucraine di esportare beni verso l’UE. Di queste, 39 sono licenze per il miele. Anche se può sembrare una gran quantità di miele, l’Ucraina ha già esportato la sua quota annuale di miele nelle prime sei settimane del 2016.

Né è chiaro come Poroshenko abbia in programma di rendere l’agricoltura ucraina competitiva a livello mondiale quando, come sottolinea il suo ministro dell’agricoltura, quattro aziende agricole su cinque sono in bancarotta. Non è chiaro chi pagherà i macchinari agricoli, dei quali l’80% è importato.

Tali politiche hanno portato ad una costante erosione della popolarità del governo, con il 70% degli ucraini che dice che il paese è sulla strada sbagliata, e l’85% dichiara di non fidarsi del primo ministro. La popolarità di Poroshenko è ora inferiore a quella del suo predecessore, Viktor Janukovich, alla vigilia della ribellione del Majdan che lo aveva spodestato.

Ma anche se meno del 2% descrive il paese come “stabile”, una nuova rivolta non sembra imminente. Finora, il regime è stato in grado di fornire spiegazioni che distolgono l’attenzione dal proprio ruolo nella scomparsa economica dell’Ucraina.

Uomo che regge una bandiera russa in occasione dei festeggiamenti per il primo anniversario della annessione della Crimea a Sebastopoli

La prima di queste spiegazioni è l’annessione della Crimea alla Russia e la ribellione nell’est, che sono comunemente citate come ragioni per la caduta del PIL. Mentre è vero che queste hanno causato notevoli danni economici, tutto è stato aggravato dalle politiche del governo che, pur insistendo che i russofoni delle regioni orientali fanno parte dell’Ucraina, li ha tagliati fuori dai legami economici e ha punito la popolazione per essersi schierata dalla parte della Russia.

Un altro argomento preferito del governo attuale è che l’Ucraina non ha semplicemente altra scelta che rispondere all’aggressione russa imponendo le proprie sanzioni. La bellezza di questo argomento è che, mentre non ha alcun senso economico, ha un gran senso politico per chi è ora al potere.

La distruzione della base industriale dell’Ucraina, che è fortemente concentrata a est, sposta l’equilibrio del potere economico e politico nelle regioni occidentali, emarginando permanentemente le voci politiche di opposizione. I vantaggi sono evidenti. Promuovere un senso di crisi perpetua permette all’attuale governo di sostenere che esso deve rimanere al potere, perché si vedano i frutti delle sue politiche. L’unica incertezza è se una tale strategia può dare i suoi frutti prima che l’economia del paese collassi. Questa non è una politica che l’Occidente può approvare. Indipendentemente dalle simpatie politiche, nessun governo occidentale dovrebbe tollerare l’impoverimento deliberato della popolazione per un guadagno politico. I rischi che l’Ucraina diventi uno stato fallito, e l’aggiunta di altri milioni di rifugiati alla crescente crisi dell’Europa, sono semplicemente troppo alti.

Il modo migliore per evitare un tale esito è quello di riconoscere che la sopravvivenza economica dell’Ucraina non dipende dai salvataggi occidentali, ma dal rinnovo degli investimenti russi nel paese. I politici occidentali dovrebbero insistere sul fatto che la razionalità economica abbia la precedenza sul nazionalismo economico, e fare di questa una condizione per l’assistenza.

Finché ciò non accadrà, è difficile immaginare che qualcuno investa nel futuro dell’Ucraina, incluso il suo stesso popolo.

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Articolo di Nikolai Petro per Russia Insider, pubblicato il 17 Marzo 2016
Traduzione a cura di Ortodossia Torino

Perché è inutile l’indignazione occidentale dopo gli attacchi di Bruxelles

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Dettagli degli attacchi terroristici a Bruxelles provocano pensieri amari.

Questi attacchi terroristici colpiscono l’Europa con la regolarità di un orologio. Nel 2015 Parigi fu vittima di due attacchi. Ora è il turno di Bruxelles.

La modalità con la quale è stata data risposta a ciascuno di questi attacchi è sempre la stessa. I governi occidentali esprimono shock e indignazione. La sicurezza viene rinforzata. Le settimane passano, e tutto torna come era prima.

Nessuna discussione è permessa riguardo le politiche occidentali che potrebbero aver avuto un ruolo nel creare le condizioni per gli attacchi terroristici.

Le politiche sono quelle che le potenze occidentali hanno seguito in Medio Oriente per decenni.

La prima è il fallimento nel promuovere una soluzione praticabile al conflitto Israeliano-Palestinese in corso.

La seconda è la politica disastrosa dei cambi di regime che i governi occidentali hanno perseguito in Medio Oriente dal 2000 in avanti.

La terza è l’abitudine occidentale di manipolare terroristi jihadisti indigeni per raggiungere i propri obbiettivi geopolitici.

Il paese occidentale chiave è l’America e, nonostante i suoi alleati principali – Gran Bretagna, Francia, Arabia Saudita, Germania e Turchia – abbiano tutti avuto un ruolo, sono gli Stati Uniti a cui bisogna guardare per trarre considerazioni.

Il conflitto Israeliano-Palestine è senza dubbio una situazione difficile. Ciò nonostante la ragione per la quale si è aggravato per così tanto tempo – avvelenando l’intero Medio Oriente – è che gli Stati Uniti non hanno mai veramente cercato una soluzione.

Invece di essere equi e generosi con entrambi, si sono piegati verso Israele, e nel farlo hanno rafforzato gli estremisti all’interno di Israele indebolendo quei tanti israeliani che chiedevano un compromesso.

La politica di cambio di regime nel frattempo richiese il rovesciamento di quei governi mediorientali che sono stati il fattore di maggiore di stabilità nella regione. Questo nonostante il fatto che molti di loro fossero o volessero rientrare tra gli amici degli Stati Uniti.

Il Presidente Putin mise sul tavolo le conseguenze di tutto ciò nel suo recente discorso all’Assemblea Generale dell’ONU:

Invece di intraprendere riforme, l’intervento aggressivo ha avventatamente distrutto istituzioni di governo e la regolare vita quotidiana. Invece di democrazia e progresso, ora c’è violenza, povertà, disastri sociali e totale indifferenza per i diritti umani, incluso il diritto alla vita.

Il caos ha creato un vuoto di potere che i jihadisti hanno riempito.

Mentre negli anni 2000 erano una frangia isolata, oggi controllano territori le cui dimensioni sono paragonabili a nazioni, e hanno una presenza in ogni stato del Medio Oriente, e oltre.

Ancora peggio, nonostante tutte le prove delle loro violenze contro gli occidentali, le potenze occidentali non sembrano capaci di perdere il vizio di manipolarli.

Stiamo chiaramente assistendo a questo oggi, in Siria e Yemen, dove le potenze occidentali si sono effettivamente alleate con affiliati ad Al Qaeda nella loro battaglia per rovesciare governi laici, allo scopo di assecondare le loro politiche di cambio di governo.

Questo è uno schema che va indietro nel tempo, fino alle catastrofiche politiche nel sostenere  jihadisti violenti per rovesciare il governo secolare dell’Afghanistan, sostenuto dai sovietici negli anni ’80.

Come anche il Presidente Putin ha detto durante il suo discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni: Unite:

E’ ipocrita e irresponsabile fare dichiarazioni circa il pericolo del terrorismo e allo stesso tempo chiudere un occhio sui canali usati per finanziare e dare sostegno ai terroristi, inclusi i ricavi dai traffici di droga, il mercato nero del petrolio e delle armi.

E’ ugualmente irresponsabile manipolare gruppi di estremisti e usarli per raggiungere i propri scopi politici, sperando che più tardi si trovi una soluzione per sbarazzarsi di loro o eliminarli.

Mi piacerebbe dire a coloro che perseguono questo: Signori, le persone con cui state trattando sono crudeli ma non sono stupide. Sono intelligenti quanto voi. Una domanda viene spontanea: qua chi manipola chi?

Questo è il tipo di pensiero che è necessario per superare il pericolo reale che il terrorismo ci pone.

E’ una amara verità che in Occidente è pressoché impossibile trovare. Fintanto che perdurerà il rischio degli jihadisti, se la reazione saranno le proteste dovute allo shock e all’indignazione, come abbiamo sentito dai governi occidentali dopo gli ultimi attacchi di Bruxelles,  non se uscirà mai.

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Articolo di Alexander Mercouris pubblicato da Sputnik Int. il 22 Marzo 2016
Traduzione in Italiano a cura di Sascha Picciotto per SakerItalia.it

Il genere sbagliato di vittoria

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JohnHayes

Dipinto di John Hayes

Spesso si può udire che gli Stati Uniti spendano più nelle loro infrastrutture militari che gran parte delle altre nazioni messe assieme. Questa è presentata come prova che gli Stati Uniti sono i più potenti militarmente – forse così potenti da poter sfidare il resto del pianeta e prevalere. Trovo questo atteggiamento decisamente discutibile. Se osserviamo come gli Stati Uniti spendono il denaro per la “difesa” e cosa ne ricavano in termini di capacità militari, emerge un quadro totalmente differente: un gigante goffo afflitto dalla corruzione che sabota sé stesso ad ogni passo.

Per cominciare, valutare la forza militare relativa basata su livelli relativi di spesa militare è molto simile alle scommesse sui cavalli basate su quanto mangia il cavallo. Certo, il cavallo deve mangiare, ma un cavallo che mangia dieci volte più degli altri difficilmente sarà tra i primi, altrimenti ci sarebbe seriamente qualcosa di sbagliato.

Considerate poi il fatto che un dollaro speso nelle forze militari statunitensi negli Stati Uniti non è direttamente paragonabile al valore di un dollaro in rubli o yuan spesi in Russia o Cina; in termini di parità di acquisto, la differenza può essere di 5 a 1, o addirittura 10 a 1. Se la Russia ottiene 10 volte il valore per il denaro speso, ecco andarsene la supposizione di una ipotetica superiorità militare statunitense basata su quanto mangia il complesso militare americano.

Oltretutto non bisogna dimenticare che le forze militari statunitensi hanno obbiettivi differenti dal resto delle altre potenze: il loro obbiettivo è principalmente l’attacco invece che la difesa. Le forze militari statunitensi lottano per dominare e soggiogare l’intero pianeta; tutti gli altri tentano semplicemente di difendere il loro territorio, mentre qualche paese tenta di mettere i bastoni tra le ruote degli Stati Uniti, nella loro ambizione di dominare e soggiogare l’intero pianeta.

In generale, se l’obbiettivo non è realistico, non importa quanto denaro viene gettato per raggiungerlo. Più nel dettaglio, è molto meno costoso rompere qualcosa invece che farla funzionare, e le forze armate statunitensi, non importa quanto denaro venga speso, restano economicamente facili da sconfiggere. Per esempio, una portaerei della classe Nimitz costa approssimativamente attorno ai 5 miliardi di dollari, mentre un missile russo Kalibr, che può essere lanciato da una barca da pesca a 1200km di distanza dalla portaerei e distruggerla, è stimato attorno a 1.2 milioni di dollari a pezzo. Per mettere questi numeri in prospettiva, la Russia potrebbe distruggere l’intera flotta di portaerei americane senza eccedere nel budget di spesa per gli addestramenti annuali.

Tutto ciò ha realmente senso solo se gli Stati Uniti spendessero denaro nel tentativo di ottenere qualche obbiettivo militare esistente. Se l’apparato militare americano spreca in gran parte il denaro in progetti per la loro vanità e in costosi albatri tecnologici, allora niente di tutto ciò importa, e questo potrebbe davvero essere il caso. Basta guardare come gli Stati Uniti spendono i loro dollari:

  • Li spendono in basi militari in giro per il mondo – centinaia. Qual’è il loro scopo? Cosa ottengono con la loro presenza? Nessuno lo sa. Fa tutto parte “dell’attività” militare statunitense: valutare e rispondere a “minacce”, la maggior parte delle quali sono puramente teoriche. Sembrano avere un impulso irrazionale nel non lasciare alcun luogo del pianeta sprovvisto di una base militare americana. Questo è in gran parte uno spreco di risorse.
  • Li spendono in un pugno di gruppi di portaerei. Sono molto utili per lanciare attacchi contro paesi indifesi. E’ tuttavia molto importante tenere distante queste portaerei da zone di conflitto che possano coinvolgere Cina o Russia, o addirittura l’Iran, poiché ciascuno di questi paesi ha numerose possibilità a basso prezzo per distruggere una portaerei: missili balistici, missili da crociera supersonici e siluri supersonici. L’intera flotta di portaerei è obsoleta ed è un’altro spreco di denaro.
  • Li spendono nel sistema integrato navale da combattimento Aegis, considerato l’ultimo ritrovato; è stato installato su vari incrociatori e cacciatorpediniere. C’è solo un problema: è facile metterlo fuori uso, come la Russia ha dimostrato. Un caccia equipaggiato con contromisure elettroniche, chiamate Khibiny, è stato usato per spegnere il sistema Aegis. Il jet (che era oltretutto disarmato) ha dunque simulato una dozzina di bombardamenti sul vascello inerme statunitense.
  • Li spendono in programmi di sviluppo disastrosi di vario genere. Un esempio classico è la Ronald Reagan Strategic Iniziative, detta anche “Star Wars”: non ha mai portato a nulla di strategicamente utile. Un altro buon esempio è l’F-35 Joint Strike Fighter, il cui sviluppo è costato oltre mille miliardi di dollari. E teoricamente utile in molte missioni differenti, ma si è dimostrato inefficace in ciascuna di esse.

Questa lista potrebbe continuare virtualmente all’infinito, ma questi sono solo esempi per rendere chiaro un principio chiave: spendere denaro in cose che non funzionano non rendono gli Stati Uniti più forti militarmente.

Guardate poi alla maniera in cui gli Stati Uniti spendono denaro nella difesa. Lo spendono pagando contractors militari, che sono compagnie pubbliche – molto redditizie.
Questi contractors della difesa non sono interessati principalmente a fornire servizi di valore in termini di budget di difesa; sono interessati a generare profitto per i loro azionisti.
Questa è la direttiva principale per tutte le compagnie pubbliche. E’ dunque più sicuro azzerare un buon terzo di tutte le spese militari che vanno verso i profitti: questo denaro può cotonare molti nidi, ma nessuno di questi è legato all’ambiente militare.

Tenete a mente che oltretutto molto di quel denaro è praticamente rubato. Non vi è stato alcun controllo sul Pentagono da decenni, le somme che sono andate disperse ammontano a miliardi di dollari. Una gran parte delle spese militari è riciclata usando una varietà di schemi in campagne di contributi per i membri del Congresso statunitense, i cui membri successivamente votano per un incremento nel budget della difesa. C’è un altro schema dove i contractors della difesa pagano esorbitanti somme per delle consulenze a ufficiali in pensione; risulta in fondo come un pagamento posticipato: gli ufficiali lavorano per contractors della difesa durante la loro carriera, ma sono pagati solamente quando vanno in pensione. Nessuno sa quale frazione della spesa per la difesa venga prosciugata usando questi o qualsiasi altro schema corrotto, tuttavia sembra probabile che l’intero sistema militare statunitense sia il covo della corruzione più grande che il nostro pianeta abbia mai visto.

Quella minima parte di denaro che viene alla fine spesa in utili sistemi di difesa si scontra con problemi di natura veramente insormontabile: mancanza di cervello. Vedete, per generazioni gli Stati Uniti sono stati indietro in scienza e matematica, assieme a quasi tutto il resto. Ci sono alcune eccellenti università e istituti negli Stati Uniti che laureano prestigiosi specialisti di massimo livello, ma sono perlopiù stranieri. In scienza e ingegneria c’è solo una piccola minoranza di laureati americani.

Ora, questo non importa in molti campi tecnici, dove è pratica comune che gli Stati Uniti assumano specialisti stranieri. Ma la difesa è un compartimento speciale: richiede talento innato, o la lealtà e la morale per fare un lavoro superiore, semplicemente non esiste. I contractors della difesa finiscono quindi per essere composti da indigeni senza voglia di far nulla che non potevano trovare lavoro in nessun altro posto che non fosse relativo alla difesa. Il Dipartimento della Difesa è ugualmente composto da simili lampadine pressoché spente: maniaci del fitness imbottiti di caffè che corrono in tondo dando l’impressione di essere occupati, aspettando la loro prossima promozione, non criticando mai i loro superiori, senza mai mettere in discussione i propri ordini, non importa quanto stupidi possano essere, e mai pensare troppo. Cosa può ottenere un sistema come questo? Disastri, ecco cosa.

Ed ecco cosa vediamo: una lunga sequenza di disastri militari assoluti. Gli Stati Uniti sono stati coinvolti in una lunga serie di campagne militari contro avversari molto deboli, hanno dimostrato di essere capaci di distruggere, con incredibili livelli di danni collaterali e qualche conseguenza inattesa impressionante come l’ascesa dell’ISIS/Daesh/Califfato Islamico, ma nient’altro.

Con occhio critico, si sono dimostrati totalmente incapaci di vincere la pace. L’obbiettivo ultimo di tutte le missioni militari è una cessazione delle ostilità in termini favorevoli. Se questo obbiettivo non può essere raggiunto, allora la missione militare è peggio che inutile. Gli Stati Uniti hanno ottenuto la cessazione delle ostilità in termini favorevoli in ciascuno dei paesi in cui sono intervenuti militarmente? Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Ucraina? No, di certo non l’hanno ottenuta.

Il complesso della difesa statunitense può essere considerato vincitore in un solo senso: ha conquistato e soggiogato il popolo degli Stati Uniti e ne sta estraendo un tributo oneroso. E’ un parassita bello e buono, non serve alcuno scopo utile. Dovrebbe venire smantellato. In quanto a confrontarsi con i vicini, la Guardia Nazionale del Texas dovrebbe essere un bel contendente per i Federales messicani qualora il Messico decidesse di inscenare una reconquista militare, cosa improbabile visto che la conquista demografica sta andando così bene. Dall’altro lato, il confine a nord non richiede alcuna protezione, poiché è inconcepibile che il Canada possa mai essere considerato pericoloso militarmente.

Certo, c’è un’alternativa a smobilitare volontariamente le forze statunitensi: una sonora e umiliante sconfitta militare causata da avversari intelligenti e coscienti dei costi. Ma questo piano è gravato dal pericolo di scatenare uno scambio nucleare, cittadini americani benestanti preoccupati che un’esplosione nucleare potrebbe interferire nei loro piani personali di longevità dovrebbero dare una chance all’approccio volontario.

P.S. Alcune persone potrebbero trovare le mie critiche e i miei consigli “non patriottici” perché dovremmo tutti “sostenere le truppe”. Vi assicuro, questo non ha nulla a che vedere con le truppe: non hanno alcun potere decisionale, non possono scegliere le loro missioni. Per quanto riguarda il patriottismo, è dovere delle truppe che hanno giurato di servire e difendere il popolo, non il contrario. Se volete essere patrioti, potere servire e proteggere la gente, le truppe in particolare (perché, non dimenticate, sono persone anche loro) portandole a casa, dando loro lavori da civili, facendo fare loro qualcosa di utile, o almeno qualcosa che non sia dannoso per il mondo in generale o per le finanze del paese, l’ambiente, la salute, rispettabilità o sicurezza.

Una “Europa rubata”– Sfogo del Saker

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Il mio ultimo articolo sull’Europa ha suscitato molte reazioni, più di quante ne aspettassi; ritengo dunque necessario un seguito dove rispondo ad alcuni dei commenti ricevuti, condividendo con voi non tanto i miei pensieri quanto i miei sentimenti per l’Europa e la sua situazione critica. Attenzione, questo sarà uno sfogo di rabbia, scritto con tristezza e disperazione nel cuore, senza alcun riguardo per le buone maniere e la correttezza politica (o ortografia e grammatica, per quanto conta).

Se vi offendete facilmente, smettete di leggere adesso. Stessa cosa se vi aspettate una analisi scritta con cura. Questo sarà uno *sfogo*.

Siete stati avvertiti!

Per coloro che ancora non ne sono a conoscenza, sono nato in Svizzera nel 1963 e, come molti svizzeri fanno, ho viaggiato in Europa per molti anni. Le mie destinazioni preferite erano situate perlopiù al meridione: Grecia (Atene, Aegina, Aghia Marina), Spagna (Canarie, Andalusia, Madrid), Italia (Ansedonia, Roma, Milano, Aosta), Francia (Creuse, Corrèze, Vercors), ma anche nella *vera* “Europa Centrale” della Svizzera (Berner Oberland, Graubunden, Val Poschiavo), Germania (Baviera), Olanda (Amsterdam, La Hague) e il Belgio (Brugge). Ho avuto anche meravigliosi viaggi in Irlanda (Dublino, Donegall, Connemara) e mi sono piaciuti tutti. Mi piacciono le lingue (parlo spagnolo, tedesco, francese, italiano), ho amato le differenze che caratterizzano le persone, la musica, il cibo, i panorami, gli accenti e gli splendidi edifici, testimoni del passato fino all’antichità – tutte queste erano gioie per il mio cuore e cibo per la mia mente. Assolutamente AMO l’Europa, non solo per la mia provenienza, sono per metà Europeo (mio padre, che non mi ha cresciuto, è olandese) ma perché la maggior parte della mia vita è stata vissuta lì e non importa cosa succederà, l’Europa sarà sempre come una casa per me.

[Nota: quando dico “Europa” intendo l’Europa Occidentale, la vera Europa, quella che è stata occupata dalla NATO, non la parte Orientale, occupata dal WTO (Warsaw Treaty Organization, non è mai stato chiamato “Patto” – questa è propaganda statunitense), che comunque non è mai stata Europa. Nessuna offesa, ma è mia opinione che la nozione che la Polonia e la Bulgaria facciano parte dell’Europa è ridicola. Stessa cosa per i Balcani con l’unica possibile eccezione, la Grecia. Lo so, molti non saranno d’accordo o mi smentiranno. Non mi interessa. La MIA Europa sarà sempre una puramente occidentale, per il meglio o qualche volta, per il peggio.]

Ma questa casa mi è stata rubata.

Primo, quella casa è stata rubata da un progetto europeo che dal primo giorno è stato anti-europeo. Com’è possibile che l’Europa sia anti-Europea? Prima di tutto, perché è mirata ad unire un bellissimo continente di diversità. Cos’hanno in comune un tedesco e un italiano? Lasciatemi spiegare: esattamente *nulla*. In Svizzera eravamo abituati a scherzare sul fatto che i confini con l’Africa cominciavano da Carrouge, nella periferia più meridionale di Ginevra. Se chiedete a uno svizzero tedesco di Zurigo, vi dirà che il confine con l’Africa comincia poco più a Sud di Berna, sulla linea linguistica che divide gli svizzeri che parlano tedesco da quelli che parlano francese. E, per favore, non vedetelo come un segno di razzismo contro gli svizzeri di lingua italiana o contro quelli di lingua francese – perché non lo è. Era uno *scherzo*; uno scherzo che tuttavia rifletteva le reali differenze.

Gites-du-Vercors

L’Europa della mia gioventù

C’era una volta un nucleo europeo reale e praticabile (come ho detto, ogni volta che parlo di europei parlo di “europei occidentali”): la Germania, la Francia, il Belgio, l’Olanda e la Danimarca erano abbastanza vicine, con la Francia come terzo incomodo (la Francia è l’insieme di due paesi: la parte meridionale e quella settentrionale incollate insieme dalla storia e dal linguaggio). La Svizzera è sempre stata politicamente troppo indipendente per unirsi a questo “nucleo”, stessa cosa per la Gran Bretagna, non è mai stata minimamente Europea. Anzi, la Gran Bretagna è sempre stata anti-europea e ne è il peggior nemico.

L’Unione Europea è andata molto oltre. Ha aggiunto la Spagna, l’Italia, la Grecia e il Portogallo. Questa di per sé era già una pazzia ma, suppongo, fattibile. Poi venne il colpo di grazia: aggiungere tutte i paesi appartenenti al WTO in una espansione suicida verso Est. Non mi va di discutere come dovrebbero essere chiamati gli europei centro-orientali, forse “Europei Orientali” andrà bene, ma non sono mai stati parte in nessun modo dell’Europa Occidentale. Sì, per ragioni politiche, i polacchi, gli estoni e i rumeni pensano di essere “europei”, ma è esattamente come per gli ucraini con i loro ridicoli slogan: “Україна – це Європа!” (L’Ucraina è Europa), non sono mai stati parte della vera Europa, comunque non parte di quella che scherzava sui confini con l’Africa che cominciano a Carrouge :-)

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La “Nuova Europa”

Il secondo colpo di grazia all’Europa è arrivato quando i capitalisti hanno aperto i confini europei agli economici immigranti dal sud. Lasciatemi spiegare, la prima ondata di immigranti, perlopiù italiani, portoghesi e spagnoli, poteva essere facilmente integrata. Sono andato a scuola con almeno il 50% della mia classe composta da questi tre gruppi. Sicuramente ciascuno di loro aveva la sua identità, linguaggio e costumi – ma potevano tutti essere realmente integrati in una società più grande. Poi vennero gli jugoslavi, e le difficoltà aumentarono. Tutti loro – serbi, croati, albanesi dal Kosovo – arrivarono dalla Jugoslavia comunista e mentre lavoravano senza sosta, non si può dire che si sentissero a casa propria nel loro nuovo paese di residenza, e nemmeno i locali li consideravano simili a loro. Poi ecco aprirsi le porte dell’inferno con l’arrivo degli “arabi” dal Maghreb (Africa del Nord) che non erano affatto “arabi”, ma non preoccupiamocene, e africani (neri) dell’Africa sub sahariana. Potete immaginare cosa si può provare quando si vedono *veri* africani arrivare a casa vostra in numeri sempre maggiori, quando eravate abituati a scherzare che i confini con l’Africa cominciavano a Carrouge (ripeto questo esempio perché considero calzi a pennello)? Sembrava una piaga, anche se nessuno era disposto ad ammetterlo.

Ora lasciatemi chiarire rapidamente una cosa. Il problema dell’Islam.

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Criminali di strada francesi del passato

Sostengo che nessuno dei magrebini o africani possa veramente essere integrato in una profonda società europea occidentale. Ma, e questo è fondamentale, i musulmani, e qui intendendo i veri musulmani pii e religiosi, sono sempre stati rispettosi della legge e eccellenti vicini. So di cosa sto parlando poiché ho vissuto accanto ad una grande moschea per decenni, e so per certo che i musulmani che pregano in moschea sono estremamente cortesi (di fatto più dei cittadini locali) e sono molto attenti a mostrare un’immagine raffinata, educata e appropriata dell’Islam di fronte ai non-musulmani. La vera piaga erano le 2°generazioni di ragazzi che non erano né europei né musulmani. Questi, specialmente gli Algerini, erano responsabili per la maggior parte dei reati, ed erano un vero orrore, per metterla così: arroganti, rumorosi, non educati e molto aggressivi. Questi magrebini si combinano solitamente con le seconde generazioni di neri africani e formano il nucleo di tutte le gang di criminali che imperversano in giro. E nessuno di loro, nessuno, era musulmano nel vero senso del termine, non religioso, non culturale. Di nuovo, parlo per lunga esperienza personale, per favore non venite dunque a dirmi che non conosco l’Europa o l’Islam, perché di fatto, conosco bene entrambi.

[Nota: Non posso parlare di turchi o curdi in Germania semplicemente perché non ho speso abbastanza del mio tempo in questi circoli, e non sono dunque qualificato per avere un’opinione al loro riguardo].

Dunque la mia Europa è stata rubata a me non una volta ma due, e mentre rimpiango l’Europa della mia gioventù, aborro in ogni modo l’Europa e l’Unione Europea. Ogni volta che vedo Hollande, Stoltemberg o Tusk, mi si gira lo stomaco, come udire una bestemmia. Mi fanno stare assolutamente male. Odio l’Europa di Charlie Hebdo, quella di Bernard Henri Levi, di Harlem Desir, l’Europa di Conchita Wurst o quella di Dalia Grybauskaité (ecco un nome tipicamente europeo, giusto?).

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Criminali di strada a Parigi, oggi

Londra ora assomiglia di più a Karachi, Parigi come Ouagadougou, Roma come Târgu-Mures. Tutto ciò è davvero disgustoso, rivoltante e suicida. Dirlo non ha alcunché di razzista, e solo una persona totalmente priva di ogni radice culturale può mal interpretare come forma di razzismo l’orrore delle persone che assistono alla distruzione delle radici culturali e delle città da parte di ondate di immigranti non integrabili. Non mi credete?

Lasciatemi dirvi questo: in Francia ci sono un sacco di magrebini che sono oggi terrificati dal vedere i loro (solitamente poveri) quartieri venire sopraffatti da zingari, mentre in Svizzera si possono vedere ex-jugoslavi più o meno integrati guardare con lo stesso orrore i loro presunti “compagni” jugoslavi mentre gestiscono il traffico della cocaina. Quanti cittadini svizzeri pensate di trovare dentro le prigioni svizzere? Nessuno lo sa ma la mia stima è meno del 15%.

La parte peggiore è che sia la sinistra che la destra sono entrambe responsabili di questa situazione.

Pompidou

Reso celebre dal Time, ovviamente

In origine, l’impulso primario di portare gli immigrati in Europa giunse da destra, dai manager delle corporazioni organizzate che desideravano ottenere manodopera a buon mercato, a qualsiasi costo. Come sempre, se guardate in profondità, la forza che si celava dietro le corporazioni era rappresentata dalle banche. Non è una coincidenza che in Francia tutto abbia avuto inizio con George Pompidou che, prima di diventare presidente, fu direttore generale alla N.M. Rothschild & Sons Bank. Pompidou, che giunse al potere dopo una “rivoluzione colorata”, conosciuta come “Mai 68”, sponsorizzata dalla CIA, sostituendo un vero patriota francese, il generale De Gaulle, che più volte provò ad eliminare i collegamenti tra la Francia e i suo padroni AngloSionisti. De Gaulle sarebbe poi stato travolto da una bizzarra rivoluzione che vide trotskisti e agenti della CIA lavorare mano nella mano per ottenere il cambio di governo in Francia.

Tutto ciò che la destra desiderava erano i profitti, profitti e ancora profitti. I lavoratori francesi furono superbamente organizzati, ottennero risultati sociali importanti e diritti lavorativi, dunque i capitalisti francesi che non furono in grado di trasformarli nel genere di forza lavoro senza diritti di cui avevano bisogno, li importarono dall’estero.

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Bernard Henri Levi e Harlem Désir

Per quanto riguarda la sinistra, vide nell’ondata migratoria una fantastica opportunità politica per raggiungere il cambiamento sociale che ha sempre desiderato ottenere: la distruzione totale di ogni forma di tradizione, identità nazionale e religione.

I Sionisti francesi, in particolare, intravidero una fantastica opportunità per indebolire l’identità nazionale francese etichettandola per definizione come razzista. Ecco come fecero.

Il presidente François Mitterand desiderava dividere la destra francese per vincere le elezioni, ordinò dunque ai principali canali televisivi francesi di fare una lunga intervista al leader del Fronte Nazionale, Jean-Marie Le Pen. Questa intervista è proprio ciò che mise il Fronte Nazionale sotto i riflettori e la tattica funzionò. La destra francese si divise ed è tutt’ora è divisa in questo modo. I socialisti francesi si allearono con la lobby israeliana e crearono un movimento chiamato “Touche pas à mon pote” (non toccare il mio compagno) guidato da una persona chiamata Harlem Desir (non vi sto prendendo in giro!). La loro missione? Combattere il presunto razzismo del popolo francese. Vi sembra familiare? Creare un problema per poi “risolverlo” (“Sionismo 101”). Questa operazione ha lavorato in maniera superba e ha permesso di etichettare qualsiasi discussione sull’immigrazione come razzismo.

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Francia: Da King Clovis a questo…

Ora che l’Unione Europea ha rimpiazzato l’Europa, la destra e la sinistra si sono fuse in quello che io chiamo “Centro Estremo” – lo stesso modello di globalità che mentre con una mano vuole eliminare tutti i confini, con l’altra vuole smantellare tutte le regole sociali che proteggono la classe lavorativa dallo sfruttamento dei capitalisti.

Scusatemi per questa lunga escursione nel passato, ma desideravo farvi comprendere perché sono così arrabbiato quando scrivo sull’attuale “Europa”: sono arrabbiato perché ricordo “l’Europa di ieri” molto bene, perché l’ho vista uccidere passo dopo passo davanti ai miei occhi, perché ho vissuto attraverso ogni momento di questo lento assassinio e perché disprezzo assolutamente la pseudo-Europa che i Sionisti stanno costruendo sui pilastri della vecchia Europa.

Alcuni commenti aggiuntivi:

Gladio: Si, conosco Gladio, ricordo gli attentati di Bologna e il rapimento di Aldo Moro. Possono gli ultimi attentati essere direttamente riconducibili a Gladio v.2? Si assolutamente, ma non influisce in alcun modo sulla tesi fondamentale che una immigrazione incontrollata sia una minaccia morale per l’Europa e un vettore ideale per la penetrazione di terroristi. Ricordavi solo che Daesh è controllata dalla CIA, in ogni caso, e che i burattinai siano a Raqqa o Bruxelles non fa alcuna differenza. I Takfiri sono sempre stati i soldati della CIA.

Il ruolo degli Stati Uniti: Enorme. L’Unione Europea è essenzialmente un progetto statunitense gestito dai Bilderberg e dalla lobby sionista in Europa. L’Unione Europea è oggi amministrata da una élite corrotta che è totalmente asservita agli interessi AngloSionisti. Ciò che i veri europei desideravano era una “Europe des patries” (Una Europa delle patrie) che De Gaulle difendeva. Sappiamo tutti cosa è successo a De Gaulle per aver osato opporsi all’Impero Anglo Sionista.

Russia: Questo è interessante. Non vedo alcun piacere portato dalla sfortuna altrui tra la popolazione russa, in nessun modo. Prima di tutto l’Europa piace a molti russi, specialmente la parte meridionale con la quale sentono un legame maggiore. Ammiriamo inoltre gli europei del Nord per i loro innegabili traguardi. Oltretutto i russi sanno, a causa del loro passato amaro, che la buona gente può vivere sotto un regime disgustoso. Questa è la ragione per la quale i russi non danno alcuna colpa agli americani per le politiche dell’1% che li governa. Ciò che infastidisce di più i russi è l’abietta servitù di molti europei di fronte ad un abietto regime. Il grande filosofo russo Ivan Solonevich era solito scrivere che “i tedeschi non sono meglio organizzati, sono più facili da organizzare”. Ciò che intendeva era che sotto i nazisti o sotto l’occupazione americana, i tedeschi sarebbero stati incredibilmente obbedienti e desiderosi di ricevere ordini. Al contrario, la popolazione russa è anarchica ed ha molto più a cuore la propria libertà, è sempre pronta a ribellarsi contro qualsiasi autorità che non rispettino.

[Nota: Avete dei dubbi a riguardo? Considerate questo: i tedeschi elessero Hitler e gli obbedirono fino alla sua morte. Facendo un paragone, il regime sovietico arrivò al potere solo nel 1917 ma ottenne stabilità soltanto nel 1946(!) dopo una enorme guerra civile, tante insurrezioni, repressioni sanguinose, purghe sanguinose e una terribile guerra che vide, per la prima volta nella storia russa, milioni di russi cambiare campo. Anche dopo il 1946 – l’anno della più grande ondata di repressioni – i sovietici temevano ancora la loro stessa popolazione fino al 1991, per buone ragioni aggiungerei].

Mi aspetto personalmente che la prima esplosione contro l’EU arrivi dalla Francia, un paese che, come la Russia, ha profonde, quasi viscerali radici con la libertà e che, sono sicuro, prima o poi esploderà. Quando capiterà, sarà violenta e sanguinosa (purtroppo, un’altra tradizione francese e russa). Penso che gli AngloSionisti raggiungeranno livelli inimmaginabili di depravazione e disonestà per prevenirlo, ma la mia scommessa è sulla Francia, come primo paese nell’Unione Europea a sollevarsi contro l’Impero. Perché? Perché gli altri candidati, Grecia, Spagna o Italia si “guarderanno sempre dietro le spalle” mentre i francesi esploderanno semplicemente in un moto di rabbia senza riguardi per le conseguenze (in questo i francesi sono molto simili ai russi). In più i francesi odieranno sempre gli inglesi.

Islam: Fatto nr.1: I musulmani sono qui per restare. Potete odiarli o amarli, ma questo è un fatto. Fatto nr. 2: L’Islam, il vero Islam che si oppone all’Islam wahabita, è categoricamente nemico dell’AngloSionismo. Penso che l’Islam sarà una di quelle forze che aiuterà eventualmente a “fare le pulizie” in Europa. Il wahabismo dovrà necessariamente essere eliminato totalmente dall’Europa. Questa è una minaccia mortale a tutto il genere umano civilizzato, un pericolo con cui non si può discutere e che va eliminato interamente.

Gli Ottomani: datemi del pazzo, ma sono giunto alla conclusione che la Turchia, almeno nella sua forma attuale, è di per sé un’entità pericolosa e non riformabile, che deve essere ridimensionata in forma e qualità ad un “paese normale “. Date solo un’occhiata agli ultimi due decenni. I turchi sono stati coinvolti in: Cipro, Kurdistan, Cecenia, Bosnia, Albania, Macedonia, Crimea, Libano e Siria! Che punteggio raggiungono nell’appoggio al terrorismo? Qualcuno si ricorda che la Turchia occupa ancora la metà di Cipro e che l’esercito turco ha bombardato e attaccato i curdi in Siria e in Iraq per decenni? Chiaramente, il “virus imperiale” non è stato debellato in questo ex-impero, e questo marciume dev’essere eliminato finché la Turchia non diventi ciò che tutti gli altri ex imperi sono diventati: un Paese normale, come la Grecia e l’Olanda. Tra l’altro, l’unica cosa che mantiene insieme la Turchia e gli dà una sorta di immunità è, naturalmente, la protezione degli Stati Uniti, la NATO (alias l’Impero Anglosionista). Sbarazzati di uno, e l’altro lo seguirà presto.

La*vera* Sinistra: c’era una vera Sinistra in Europa. E, a differenza della moderna ‘Sinistra col caviale’, era veramente patriottica. Il leader del Partito Comunista Francese Georges Marchais intuì il piano capitalista di importare masse di immigrati e lo denunciò, come una cospirazione sia contro i francesi che gli immigrati. Alcuni dei suoi discorsi suonano molto simili a ciò che Jean-Marie Le Pen ha ripetuto per decenni. La vera sinistra ora è stata completamente eliminata dall’Europa o, se esiste da qualche parte, è troppo piccola per fare la differenza.

 

La*vera* destra: il Fronte Nazionale di Jean-Marie Le Pen era un vero affare, anche se è stato accuratamente manipolato dai socialisti francesi. Ma da quando la figlia Marine è salita al potere, il Fronte Nazionale è stato completamente cooptato dai sionisti e da movimento popolare e operaio si è ora trasformato in tipica pseudo-destra capitalista venduta al sistema e incapace di dire nemmeno una parola contro i sionisti. E’ rimasta una vera e propria destra in Francia, per lo più intorno ai Tradizionalisti “Cattolici” (latini), ma, proprio come con la vera Sinistra, è troppo piccola per fare davvero la differenza.

 

Scusate per questo lungo sfogo. Il mio cuore soffre su questo argomento, ed è doloroso per me scrivere queste cose. Vi prego di non tormentarmi su ortografia o grammatica o altre inesattezze. Ho scritto di getto, a braccio, e a battitura velocità warp che utilizzo quando sono emozionato (diamine, non voglio nemmeno rileggere o verificare la presenza di errori di battitura). Anche se lo inserisco nella sezione “analisi”, lo faccio solo perché si tratta di un seguito della mia analisi di ieri. Ma, come si può notare, di analisi non si tratta – questo è solo uno sfogo frustrato e arrabbiato per quello che è stato fatto nei luoghi dove sono nato e che amo ancora.

 

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Per terminare, qualcosa di personale e bello: vi lascio con questa foto GoogleEarth del luogo, in Grecia, dove, da bambino, ho imparato l’immersione in apnea (decenni prima che il film “The Big Blue” ne facesse uno sport di moda): gli scogli vicino al villaggio di Αγία Μαρίνα (Santa Marina), sull’isola di Aegina. Ci andai la prima volta all’età di 12 anni, e ci passai anche la mia luna di miele, quasi 23 anni fa. Questo è anche uno dei luoghi che io chiamo ‘casa’.

 

The Saker

 

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Articolo pubblicato da TheSaker.is il 26 Marzo 2016

Traduzione in Italiano a cura di Sascha Picciotto per SakerItalia.it

Cosa succederà dopo Palmira?

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La liberazione di Palmira (Tadmur) grazie all’Esercito Arabo Siriano (SAA) ha aperto le porte ad una lunga lista di opzioni per le forze governative, inclusa una possibile offensiva per liberare il distretto di Al-Raqqa.

Ma la possibilità che l’Esercito Arabo Siriano si spinga a nord verso la città di Raqqa è molto improbabile a questo punto della guerra, dato che le loro forze sono assediate dallo Stato Islamico dell’Iraq e Al-Sham (ISIS) all’interno del distretto di Deir Ezzour.

Il Centro di Comando dell’Esercito Arabo Siriano ha già comunicato le sue intenzioni di liberare l’autostrada che collega Palmira a Deir Ezzour allo scopo di togliere l’assedio alla città di Deir Ezzour, che dura da 10 mesi; e mentre questa può sembrare la priorità principale del governo, solo una piccola parte del contingente militare è veramente impiegata a Palmira.

Come abbiamo visto, volta dopo volta, l’ISIS è stato capace di infiltrare numerosi siti lungo le montagne di Al-Sha’ar e Jazal a Nord-Est di Homs; tutto questo ha reso incredibilmente difficile mantenere un flusso costante di elettricità destinato alla provincia a causa di attacchi provocati da gruppi terroristici contro la rete elettrica governativa.

In realtà, la parte a Nord-Est di Homs può essere gestita col tempo; non è una preoccupazione urgente per il governo poiché la maggior parte del territorio a Sud-Est di Homs è sotto controllo dell’ISIS.

Al momento le Forze Armate Siriane non controllano il confine di Tanf che collega il distretto di Homs con la provincia irachena di Al-Anbar.

Perché è così importante?

Ebbene, finché l’ISIS controlla la parte Sud-Est di Homs e il confine con Al-Anbar, le Forze Armate Siriane si troveranno sempre in pericolo lungo questo vasto fronte di solo deserto.

L’unico modo per mettere in sicurezza questa parte di Homs è riconquistare all’ISIS la città strategica di Quraytayn.

Prima che le Forze Armate Siriane possano considerare di imbastire un’offensiva verso Deir Ezzour, dovranno riprendere Quraytayn dall’ISIS.

Dopo la liberazione di Palmira, domenica, una forza consistente dell’Esercito Arabo Siriano si è diretta verso Quraytayn con lo scopo di aiutare le brigate 67°, 81° e 120°.

Fortunatamente la battaglia per Quraytayn è pressoché finita, soprattutto grazie all’aiuto dell’aeronautica russa; sopra i vasti deserti le forze siriane sul campo sono avanzate centimetro per centimetro attraverso terra incolta e accidentata.

Nei prossimi giorni la battaglia per Quraytayn si intensificherà poiché le Forze Armate Siriane lanceranno un attacco come quello di Palmira contro le difese dell’ISIS, allo scopo di ottenere nuovamente il controllo di questa antica città assira.

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Articolo di Leith Fadel pubblicato da almasdarnews.com
Traduzione in Italiano a cura di Sascha Picciotto per SakerItalia.it

Il consigliere di Putin spiega nel dettaglio il piano della Russia contro l’Impero

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dolPossiamo aspettarci l’annullamento delle sanzioni americane?

Le sanzioni sono un elemento della guerra ibrida che gli Stati Uniti conducono contro di noi. Non lo stanno facendo perché disdegnano “l’annessione” russa della Crimea, piuttosto lo fanno perché si tratta di interessi oggettivi e soggettivi dell’establishment americano.

Gli Stati Uniti perdono la loro egemonia: stanno già producendo meno prodotti e esportando meno tecnologie della Cina. La Cina sta raggiungendo gli Stati Uniti in quanto a scienziati e ingegneri, molte tecnologie innovative cinesi stanno catturando i mercati mondiali. Il tasso di sviluppo della Cina è cinque volte quello degli Stati Uniti. Il sistema internazionale di entità economiche recentemente creato in Cina è un esempio del nuovo ordine economico mondiale.

Le entità economiche che dominano gli Stati Uniti, servendo un’oligarchia finanziaria, hanno destabilizzato il sistema monetario e finanziario americano che è in default circa due volte l’anno. Le cause della crisi globale finanziaria del 2008 non sono scomparse e la bolla del debito americano – piramidi finanziarie composte da derivati e dal debito nazionale – sta ancora crescendo.

Secondo la teoria dei sistemi, questo processo non può continuare all’infinito. L’oligarchia americana vuole disperatamente liberarsi del peso del debito, ecco la ragione per la quale conducono guerre ibride, non solo contro la Russia, ma contro l’Europa e il Medio Oriente.

Come succede sempre in un ordine mondiale economico che cambia, il paese che sta perdendo il controllo cerca di scatenare una guerra mondiale per il controllo della periferia. Visto che gli americani considerano i paesi dell’ex blocco sovietico come la loro periferia finanziaria ed economica, cercano dunque di ottenerne il controllo.

L’establishment politico americano è stato allevato tra le chimere dei geopolitici del XIX secolo. Gli studenti americani studiano l’inglese base e le idee geopolitiche tedesche di quell’epoca, nei corsi di scienze politiche. La domanda principale a quel tempo era come mandare in rovina l’Impero Russo, e stanno ancora guardando il mondo attraverso gli stessi occhi “d’aquila” del secolo XIX, quando la Gran Bretagna tentava di salvare la sua egemonia cominciando la Prima Guerra Mondiale, per poi perdere il loro impero coloniale dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Questo è ciò che i geopolitici americani studiano al Dipartimento di Stato e alla Casa Bianca, continuando a guardare il mondo attraverso il prisma sia della Guerra Fredda che dei conflitti britannici contro la russia e la Germania durante il XIX secolo, e ora gli Stati Uniti stanno scatenando un’altra guerra mondiale.

L’insieme dei problemi oggettivi dell’oligarchia finanziaria e lo strano modo di pensare dei geopolitici americani minaccia un conflitto mondiale. Tutto ciò non ha nulla a che fare con la Crimea. Qualsiasi ragione potrebbe andare bene.

Dobbiamo agire in termini di contraddizioni che possano portare gli Stati Uniti ad un atteggiamento aggressivo, gravido del pericolo di una guerra ibrida con il mondo intero. Hanno scelto la Russia come obbiettivo principale, e l’Ucraina, da loro occupata, come principale strumento di distruzione.

Per sopravvivere a queste condizioni, mantenere la nostra indipendenza e sviluppare la nostra economia, abbiamo bisogno di organizzare un’ampia coalizione anti-militare, perseguire la nostra strategia di sviluppo, recuperare la nostra indipendenza economica e finanziaria e continuare i piani d’integrazione euroasiatici. Per prevenire la guerra, dobbiamo realizzare l’obbiettivo presidenziale di un’area comune di sviluppo da Lisbona a Vladivostok. E’ fondamentale convincere i nostri partner europei, come i nostri partner in oriente e al sud, che c’è la necessità di cooperare, non attraverso il ricatto o le minacce, ma attraverso progetti che garantiscano benefici ad entrambi, unendosi al nostro potenziale economico sempre rispettando l’indipendenza di ciascuno stato.

Possiamo ristabilire le relazioni con l’Unione Europea, se sì come?

Per recuperare la cooperazione con l’Unione Europea, abbiamo bisogno di ristabilirne l’indipendenza. La visione di politici europei tra la folla di nazisti ad EuroMaidan ci ha mostrato quanto la cultura politica europea si sia degradata. I leaders europei non sono indipendenti; sono marionette degli Stati Uniti.

I media americani dominano lo spazio politico europeo, inserendo chimere anti-russe nella coscienza della gente, intimidendoli con la cosiddetta “minaccia russa”. I loro politici sono obbligati a seguire la scaletta mediatica preparata da Washington per guadagnare voti. Questo ha portato alla catastrofe che vediamo oggi a Bruxelles e altre città europee, prese dal panico dato che i governi non riescono a dare loro sicurezza.

Sfortunatamente l’indipendenza europea non la si può recuperare solo tramite l’accrescimento della coscienza sociale. I problemi non sono nati dal nulla; sono il risultato di una classe politica europea che sta abbandonando i propri interessi nazionali. L’Europa è di fronte ad un periodo di transizione veramente difficile, durante il quale non è più il partner di Washington, bensì la sua ombra.

Gli europei hanno perso la bussola. Vivono in un mosaico, un mondo frammentato che non ha nessuna relazione condivisa. Nonostante questo la vita li obbligherà a tornare alla realtà, e credo che l’umanesimo europeo e le tradizioni democratiche prevarranno.

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Articolo di Sergey Glazyev per Russia Insider, pubblicato il 31 Marzo 2016
Traduzione in Italiano a cura di Sascha Picciotto per SakerItalia.it

Il passato che non muore: Frammenti di URSS sulla cartina geografica d’Europa

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Articolo di Cesare Corda


NAGORNO KARABAKH – TRANSNISTRIA – ABKHAZIA – OSSEZIA DEL SUD

 

Sparsi per gli immensi territori che facevano parte dell’Unione Sovietica e, prima di essa, dell’Impero Zarista, esistono angoli di mondo che sono stati dimenticati dal progresso, dove persino la Storia sembra essersi fermata a prendersi una pausa di riflessione.

Sono frammenti di una civiltà che non esiste più, se non nella memoria di chi vi ha trascorso e dedicato parte della propria vita, per poi – all’inizio degli Anni Novanta – essere sbalzato senza preavviso in una società completamente diversa, competitiva, aggressiva, spietata, che nel giro di pochi anni ha prima messo in dubbio, poi ripudiato e irriso e infine condannato precocemente al dimenticatoio oggetti, usanze, ideologie, modi di vivere e di parlare, di vestirsi e di pensare, che erano appartenuti a diverse generazioni di cittadini sovietici e sembravano poter durare ancora almeno altrettanto a lungo.

Ma quasi per magia, per beffa, per pura casualità dettata dal caotico intreccio dei giochi geopolitici, alcuni brandelli di territorio sono stati miracolosamente risparmiati dall’onda della modernizzazione e dell’occidentalizzazione, e resistono indocili a portare la testimonianza di quel mondo del passato al quale ancora orgogliosamente appartengono.

TRANSNISTRIA

Nel Marzo 2013, insieme ai miei amici Giuliano e Jacopo, arrivammo in macchina a Tiraspol, capitale della Transnistria, da Chisinau, capitale della Moldavia.

Fino al 1990 Moldavia e Transnistria erano un’unica Repubblica, nell’ambito dell’URSS: la Repubblica Socialista Sovietica Moldava. E ancora adesso, a livello internazionale, l’indipendenza della Transnistria non è riconosciuta ufficialmente da nessun Paese al mondo.

Però, ormai già da 26 anni, poco prima di Bender e del fiume Dnestr corre un confine ben presidiato e i due Paesi vivono completamente separati de facto.

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La Transnistria, stretta tra Moldavia e Ucraina, e più a sud, la Gagauzia. La Transnistria controlla un territorio di 3.567 Km2 (poco più piccola della Liguria) per una popolazione di 550.000 abitanti. La Gagauzia ha invece un territorio di 1.832 Km2 e una popolazione di 160.000 abitanti.

Tirava un fortissimo vento freddo quel Marzo a Tiraspol, ma lo spettacolo che ci aspettava valeva molto più di qualsiasi piccolo disagio atmosferico.

Per chi come me iniziò a visitare le Repubbliche nate dalla dissoluzione dell’URSS nei primi Anni Novanta si trattò di un vero e proprio viaggio nel tempo.

Girando per il Prospekt principale della città ci sembrava di essere tornati indietro di 20 anni. Le strade e le case parevano essere rimaste intatte nel corso dei decenni, senza che nessuna opera di restauro avesse osato contaminarle. I negozi esponevano le merci in modo semplice ed essenziale, proprio come ai tempi sovietici o, come qualcuno ricorderà, alcuni modesti negozi di provincia in Italia fino agli Anni Settanta. I caffè e i ristoranti: spaziosi, vuoti, ovattati, di un’eleganza vintage e nostalgica, dove si sarebbe potuto trascorrere intere giornate a conversare sotto voce, ad ascoltare il silenzio, sorseggiando vodka (in effetti quello che facemmo noi per ore ed ore senza percepire che il tempo passava. Che importanza poteva avere! Solo il tempo perso è tempo guadagnato.) Il vecchio cinema sovietico, dove entrammo a vedere un film a caso, che non ricordo proprio quale fosse, solo per assaporare l’atmosfera del luogo. L’unica discoteca (o forse sarebbe meglio dire sala da ballo) della città. Anche la musica era la stessa di un tempo.

Trascorremmo alcuni giorni in quel paradiso perduto, ripetendo ogni giorno gli stessi lenti rituali, col solo scopo di farci assimilare il più possibile dai ritmi di quella città che ci aveva temporaneamente fagocitati. E fu lì, tra un vodkino e l’altro, che prendemmo la decisione di visitare tutti gli “Stati non riconosciuti” nati sulle macerie dell’URSS.

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Il centro di Tiraspol, capitale della Transnistria, in un giorno di festa.

La storia di questi Stati e il modo in cui hanno ottenuto l’indipendenza – sempre attraverso una guerra, più o meno cruenta – merita un approfondimento.

L’Unione Sovietica era infatti composta, ad un primo livello di suddivisione amministrativa, da 15 Repubbliche [1], ma ciascuna di queste Repubbliche a sua volta conteneva al suo interno numerose regioni e province dotate di una condizione più o meno alta di autonomia (Oblast, Krai ecc…) o addirittura altre Repubbliche minori.

La dissoluzione dell’URSS, nonostante quello che ci abbia raccontato la stampa occidentale, fu un evento non voluto e subìto dalla stragrande maggioranza della popolazione di ciascuna delle 15 Repubbliche [2]. In molti avrebbero preferito continuare a vivere in uno Stato multietnico, piuttosto che ritrovarsi cittadini di Stati nazionali a forte impronta etnica e nazionalista e spesso intolleranti verso le minoranze.

La Moldavia fu uno di questi casi. Secondo il censimento del 1989 in Moldavia vivevano una maggioranza di Moldavi-Rumeni (64,5%, ma molti di loro erano da tempo russizzati e usavano preferibilmente il russo come lingua, rispetto al rumeno [3]), una forte minoranza slava di Russi e Ucraini (26,8%) e altre minoranze meno numerose, tra cui Gagauzi (3,5%) e Bulgari (2%).

Nella Transnistria (cioè la sottile fascia di territorio ad est del fiume Dnestr) però i rapporti numerici si capovolgevano, con un 54% di Slavi contro un 40% di Moldavi (la maggior parte dei quali russofoni).

La decisione delle autorità moldave di abolire il russo come lingua ufficiale, a favore del rumeno, e contestualmente di sostituire il rumeno scritto con caratteri cirillici (da sempre in uso in Moldavia) con il rumeno scritto con caratteri latini (in uso in Romania), scatenò le prime proteste, presto tramutate in tumulti in tutto il Paese.

In Transnistria nel 1990 fu indetto un referendum per l’indipendenza dalla Moldavia, che ebbe un risultato favorevole con oltre il 90% dei voti. Dunque, il 2 Settembre 1990, la Transnistria dichiarò unilateralmente la secessione e la formazione di una Repubblica indipendente.

Dopo lo scioglimento dell’URSS, la Moldavia, appoggiata dalla Romania, intraprese una campagna militare per riprendere il controllo sulla Repubblica secessionista. Da una parte combatterono l’esercito regolare moldavo, rinforzato da numerosi paramilitari e volontari rumeni. Dall’altro la popolazione civile della Transnistria, che però trovò il risolutivo aiuto della 14ma Armata Russa, che era di stanza proprio a Tiraspol e, sotto gli ordini del Generale Aleksandr Ivanovič Lebed’, riportò una netta vittoria sull’esercito moldavo, attraversando infine anche il confine naturale rappresentato dal fiume Dnestr, per prendere possesso anche della città a maggioranza russofona di Bender [4].

L’indipendenza della Transnistria, che dura ormai da più di 25 anni, oggi però è messa a rischio dai mutati equilibri politici nella vicina Ucraina.

Il territorio della Transnistria infatti ha una forma inusualmente allungata, e si estende lungo la riva orientale del fiume Dnestr. Non ha sbocchi al mare e confina solo con 2 altri Stati: la Moldavia ad Ovest e l’Ucraina ad Est.

L’Ucraina, fin dai primi Anni Novanta, si era fatta protettrice, insieme alla Russia, dell’indipendenza del piccolo Paese confinante e della sua maggioranza di cittadini Slavi (molti dei quali proprio di nazionalità ucraina).

Ora, per compiacere ai nuovi alleati occidentali, il nuovo governo ucraino ha capovolto la propria posizione riguardo ai rapporti con la Transnistria, fino ad arrivare a minacciare interventi militari unilaterali e non provocati.

Oggi dunque la Transnistria si trova bloccata tra due vicini ostili (Moldavia e Ucraina, ai quali va aggiunta anche la Romania), troppo lontana dalla Russia e con un territorio veramente difficile da difendere [5] in caso di attacco congiunto da due lati.

La richiesta della Transnistria di annessione alla Russia (presentata nel 2014 in seguito ad analoga annessione della Crimea) per ora non è stata presa in considerazione e la vulnerabilità del piccolo Stato si presta molto bene alla creazione artificiale, da parte dei vicini ostili, di un qualsiasi casus belli.

Anche la vicina Moldavia però non può essere certa del mantenimento dell’integrità territoriale. Una seconda regione separatista, la Gagauzia, abitata da una maggioranza dell’82% di Gagauzi [6] russofoni e contrari al processo rumenizzazione forzata e di avvicinamento alla UE, da tempo minaccia la secessione.

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Per le strade di Tiraspol

NAGORNO KARABAKH

Due anni dopo, nel 2015, sempre nella nostra classica formazione a tre, decidemmo di visitare il Nagorno Karabakh [7], l’enclave armena in territorio azero, teatro di una sanguinosa guerra durata dal 1988 al 1994 e risoltasi con l’indipendenza de facto della Repubblica.

In realtà la guerra non si è mai veramente conclusa e, come nel caso della Transnistria, la Repubblica del Nagorno Karabakh non è riconosciuta da nessuno Stato al mondo. Proprio pochi giorni fa c’è stato un improvviso riaccendersi delle ostilità, con una nuova aggressione da parte dell’Azerbaijan, che è attualmente ancora in corso, con perdite da entrambe le parti.

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Il Nagorno Karabakh occupa un’area di 11.458 Km2 (poco meno grande del Trentino Alto Adige) e ha una popolazione di 143.000 abitanti

Raggiungere il Nagorno Karabakh non è semplice. L’unica via percorribile è la strada che parte da Erevan, capitale dell’Armenia e, dopo circa 8 ore di saliscendi sulle montagne del Caucaso, arriva a Stepanakert, capitale dell’autoproclamatasi Repubblica montanara.

Quando arrivammo in Armenia era anche in quel caso Marzo e, dopo una sostanziosa colazione nel meraviglioso centro storico di Erevan e qualche rituale vodkino, concordato il prezzo con un tassista, ci avventurammo verso la nostra meta.

Il primo tratto di strada è pianeggiante, e corre a fianco delle pendici del Monte Ararat [8] (la montagna sacra degli Armeni, alta 5.137 metri, il cui nome si può tradurre in “Creazione di Dio” dalla lingua armena, ma che oggi si trova oltre confine, in territorio controllato dalla Turchia).

Dopo alcune ore però la strada inizia ad inerpicarsi sulle montagne innevate del Caucaso. La percorremmo tutta senza fare soste, sorseggiando bottiglioni di ottimo vino armeno e ascoltando i racconti della guerra da parte del nostro tassista, che era proprio un montanaro del Karabakh. Più di una volta ci trovammo incolonnati in file di carri armati e altri automezzi militari che si dirigevano al fronte e in più di un’occasione udimmo sparare (non so se si trattasse di vere e proprie scaramucce, che da quelle parti sono all’ordine del giorno, oppure di semplici esercitazioni dell’Esercito di Difesa del Nagorno Karabakh.)

Giungemmo a Stepanakert al tramonto e, dopo aver trovato posto in un modesto albergo in centro città, iniziammo a percorrere il viale centrale alla ricerca di un posto dove cenare.

La capitale del Karabakh è, se possibile, ancora più dimessa e silenziosa di Tiraspol. Si tratta di fatto di un villaggio di montagna isolato dal resto del mondo e in un territorio dove le operazioni belliche, seppur su scala limitata, durano ormai da quasi 30 anni. In giro tanti soldati, pochissima gioventù, pochi i locali, buie le strade, all’imbrunire la città si svuota. Passeggiammo a lungo in quel luogo ameno ed elegiaco e alla fine riuscimmo a sfamarci in una rustica pizzeria locale che serviva una specie di pizza turca, per poi spostarci a concludere la serata in un piccolo e oscuro bar, mentre per le strade non illuminate regnava il silenzio più irreale.

Ci ritirammo infine nel disadorno stanzone del nostro albergo. Quella volta avevamo poco tempo per il nostro giro e l’intenzione era quella di trascorrere i pochi giorni disponibili nella piacevole Erevan, quindi la mattina dopo ci aspettava già il nostro tassista per il massacrante viaggio di ritorno.

Di mattina la città era più viva e colorata. Facemmo ancora una passeggiata, acquistammo alcuni souvenirs e, dopo la consueta abbondante colazione e una breve visita al suggestivo monumento di Ded i Baba, ci mettemmo in viaggio. Avevamo previsto una sosta nella storica cittadina di Shusha, per visitarne la Cattedrale e un Monastero, per poi proseguire verso l’Armenia, che avremmo raggiunto in serata.

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Il centro di Stepanakert, capitale del Nagorno Karabakh

Il mantenimento dell’indipendenza dell’isolato Nagorno Karabakh è da sempre a rischio, in una condizione per molti versi analoga a quella della Transnistria.

Le istanze indipendentiste si svilupparono fin dal 1988, quando ormai l’URSS era in fase di disgregazione e l’enclave armena, che aveva accettato di fare parte della Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbaijan nell’ambito di un’Unione Sovietica multietnica, non aveva alcuna intenzione di trovarsi a essere parte di un Azerbaijan indipendente e nazionalista e anelava quindi al ricongiungimento con la madrepatria, la Repubblica di Armenia.

Nel 1991, al momento dello scioglimento dell’URSS, la guerra si inasprì. Il parlamento del Karabakh votò la secessione dall’Azerbaijan e gli azeri, numericamente superiori, più ricchi e meglio equipaggiati, invasero la regione, appoggiati anche dalla alleata Turchia.

Stepanakert fu bombardata per lunghi mesi (proprio dalla vicina Shusha, che era un caposaldo azero) e ampie aree della Repubblica caddero in mano azera. La tenacia dei montanari armeni però non venne mai meno. Nel maggio 1992 la presa di Shusha permise di allentare l’accerchiamento intorno alla capitale e di rendere meno dannosi i bombardamenti che quotidianamente cadevano sulla stessa, mentre la conquista del villaggio di Lachin, di fondamentale importanza strategica, consentì di aprire una via di collegamento con l’Armenia, dalla quale affluirono aiuti militari e generi di prima necessità per la popolazione.

La successiva liberazione di Martakert e di Agdam, avvenute entrambe nel 1993, segnarono la definitiva vittoria armena, che fu sancita dall’Accordo di Bishkek e dal susseguente cessate il fuoco.

Si tratta però di una tregua instabile. L’Azerbaijan non ha mai veramente accettato la perdita della regione. L’Azerbaijan è molto più ricco e popoloso dell’Armenia, e grazie alle entrate garantite dall’estrazione del petrolio, ha un budget militare potenzialmente molto superiore. Gode poi dell’appoggio della Turchia, affine per lingua, religione e ceppo etnico della popolazione.

L’Armenia invece, isolata sulle montagne del Caucaso e circondata da Stati più potenti e ad essa ostili, vive quasi esclusivamente delle rimesse della Diaspora Armena [9], ed è soggetta a progressivo spopolamento, poiché i giovani preferiscono andare a cercare fortuna in Russia piuttosto che restare nel loro Paese che offre loro poche prospettive.

Il Nagorno Karabakh dunque, proprio come la Transnistria, ha un futuro incerto e pieno di insidie, e si presenta come luogo ideale per creare un casus belli [10] e riaprire le ostilità su vasta scala.

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Per le strade di Stepanakert

ABKHAZIA E OSSEZIA DEL SUD

Quest’anno, come sempre di Marzo, e sempre insieme a Jacopo e Giuliano, abbiamo visitato l’Abkhazia.

Partendo in macchina dalla città russa di Sochi il viaggio dura solo 3 ore, lungo la strada che costeggia il Mar Nero, e permette di contemplare paesaggi veramente notevoli, con le montagne del Caucaso che scendono a picco sul mare.

Il tratto di strada in Russia presenta una porzione di riviera costellata di edifici moderni, grandi palazzi, alberghi e residence di lusso, ma appena superato il confine con l’Abkhazia lo spettacolo muta completamente. Comincia il solito viaggio indietro nel tempo che tanto ci affascina!

Prima di partire, a Sochi, in molti ci avevano sconsigliato una tale destinazione, sostenendo che avrebbe potuto essere rischiosa per la presenza di non meglio precisati briganti abkhazi e banditi che fermano le auto lungo la strada per derubare i passeggeri. Può darsi che questo possa veramente accadere se ci si avventura in qualche villaggio sperduto sulle montagne, ma lungo la strada principale che collega Sochi e la Russia alla capitale abkhaza Sukhumi ritengo assai inverosimile fare incontri del genere. Almeno noi non li abbiamo fatti, nè all’andata nè al ritorno.

Sukhumi è una graziosa cittadina che, come Tiraspol e Stepanakert, ricorda in molti particolari la vita ai tempi dell’Unione Sovietica. Per chi cerca palazzi moderni, negozi alla moda e locali luminosi e rumorosi non è certo il posto ideale. Si possono trovare però dei buoni ristoranti, un piacevole lungomare, un centro storico interessante e soprattutto si può ritrovare quell’atmosfera di passato che, come un velo trasparente e protettivo, avvolge la città e la rende affascinante e arcana.

La vicinanza del mare e la relativa tranquillità della regione ne fanno anche un possibile luogo di villeggiatura dall’ottimo potenziale turistico e assai a buon mercato. Ma per ora solo pochi viaggiatori, e quasi solo russi, hanno scoperto questo posto.

Probabilmente le città di mare italiane di un secolo fa si presentavano più o meno come è Sukhumi oggi e, previa la consigliabile conoscenza di un po’ di russo, si tratta di una destinazione veramente gradevole dove trascorrere qualche giorno lontano dalle caotiche mete turistiche tradizionali, gustando il cibo locale in qualche trattoria in riva al mare o passeggiando sulla spiaggia e per le vie del centro storico.

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L’Abkhazia ha un territorio di 8.432 Km2 (poco minore di quello dell’Abruzzo) e una popolazione di 242.000 abitanti. L’Ossezia del Sud ha un territorio di di 3.900 Km2 (pressapoco come il Molise) e una popolazione di 55.000 abitanti.

L’Abkhazia e l’Ossezia del Sud (che non abbiamo ancora visitato e ci riproponiamo di farlo al più presto), ai tempi dell’URSS facevano parte della Repubblica Socialista Sovietica di Georgia. Ma non erano abitate solo da Georgiani, bensì, appunto da Abkhazi e Osseti (oltre che da altre minoranze etniche del complessissimo mosaico dei popoli del Caucaso).

Gli Abkhazi sono un popolo caucasico presente nella regione fin da Epoca Bizantina (nel 780 fondarono un primo Regno di Abkhazia indipendente, che si mantenne tale fino al 1008 [11]), hanno una loro lingua appartenente al gruppo delle lingue caucasiche nord-occidentali e dal punto di vista religioso sono divisi tra cristiani ortodossi e musulmani sunniti.

Gli Osseti invece derivano dall’antico popolo degli Alani [12]. Politicamente sono divisi tra l’Ossezia del Nord, che fa parte della Federazione Russa, e l’autoproclamatasi Repubblica dell’Ossezia del Sud, distaccatasi dalla Georgia. Sono di religione cristiana ortodossa e la loro lingua è simile al persiano.

In modo analogo a quanto abbiamo visto per la Transnistria e per il Nagorno Karabakh, queste due regioni, al momento della frantumazione dell’URSS, si trovarono a far parte di uno stato nazionale – la Georgia – verso la quale non provavano alcuna affinità.

La politica di georgianizzazione forzata iniziata nei primi Anni Novanta portò alla dichiarazione di indipendenza prima dell’Ossezia del Sud [13] (28 Novembre 1991) e poi dell’Abkhazia [14] (23 Luglio 1992) e alle successive guerre contro l’esercito regolare georgiano che, anche qui come negli altri casi narrati precedentemente, si conclusero con la vittoria degli indipendentisti e con la secessione.

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La spiaggia di Sukhumi, capitale dell’Abkhazia.

Nel 2008 però la Georgia, governata allora dall’avventuriero filo-americano Saakashvili, tentò un colpo di mano, attaccando a sorpresa (e con l’appoggio diplomatico americano) la piccola Repubblica dell’Ossezia del Sud e bombardandone la capitale Tskhinvali. Ciò provocò l’immediata reazione della Russia, storicamente protettrice di queste regioni con le quali ha un confine comune.

Le truppe georgiane furono completamente sconfitte nel corso di soli 3 giorni e dovettero ripiegare sulle loro posizioni di partenza e oltre le stesse, mentre la Russia si decise allora a riconoscere l’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud e ad assumerne la tutela. (Trattasi dunque di Stati a riconoscimento limitato [15] e non propriamente di Stati non riconosciuti come nei casi citati prima).

A differenza di Transnistria e Nagorno Karabakh, dunque, l’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud oggi non è in serio pericolo. Le due minuscole Repubbliche confinano direttamente con la Russia. Sono presenti sul loro territorio truppe russe e l’eventualità di una ripresa delle ostilità da parte della Georgia è al momento assai improbabile, oltre che priva di ogni reale possibilità di successo (a meno di un inverosimile appoggio da parte della NATO.)

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Una strada del centro di Sukhumi. Le gradevoli e alberate vie del centro storico sono dominate da un massiccio e sinistro edificio: il palazzo arancione sullo sfondo è la vecchia sede del Parlamento, semidistrutto durante la guerra del 1992-93, è rimasto a simbolo dell’indipendenza e a monito dei sacrifici che si devono affrontare per conquistarla e mantenerla.

REPUBBLICHE POPOLARI DI DONETSK E DI LUGANSK

Per completezza di informazione, tra gli Stati non riconosciuti o parzialmente riconosciuti presenti in area ex Sovietica, vanno citate anche la Repubblica Popolare di Donetsk e la Repubblica Popolare di Lugansk [16], autoproclamatesi tali nel 2014, a seguito del colpo di stato di Maidan in Ucraina.

Io personalmente ho visitato Donetsk e la sua regione innumerevoli volte, prima della guerra e dell’indipendenza. Donetsk allora non aveva molto in comune con i “frammenti di URSS” descritti nelle pagine precedenti, essendo di gran lunga la città più ricca e moderna della ex-Ucraina, con infrastrutture (penso allo stadio, al moderno aeroporto, ai centri commerciali, ora andati tutti totalmente o parzialmente distrutti a causa dei bombardamenti indiscriminati dell’esercito ucraino sulle aree abitate da civili) da fare invidia a molte città dell’Europa Occidentale.

Evidentemente la guerra e l’indipendenza avranno sconvolto la Donetsk che conoscevo, fino a cambiarle volto. Penso che sia il caso di tornare a visitarla il più presto possibile. Spero di poter darne cronaca a breve, come hanno già fatto tanti miei connazionali che, in questi due anni di guerra, si sono recati nel Donbass per portare il loro aiuto umanitario o, in alcuni casi, anche per combattere nelle file della resistenza contro i battaglioni di punitori ucraini.

Note:

[1] Russia, Ucraina e Bielorussia, le 3 grandi Nazioni slave. Lituania, Lettonia ed Estonia, le 3 Repubbliche affacciate sul Mar Baltico. La Moldavia al confine occidentale con la Romania. Georgia, Armenia e Azerbaijan nel Caucaso. E ancora le 5 Repubbliche centroasiatiche: Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan, Tagikistan e Turkmenistan.

[2] Con l’eccezione delle 3 Repubbliche Baltiche, dove effettivamente la maggioranza della popolazione era favorevole all’indipendenza (senza però tenere conto delle forti minoranze russofone, soprattutto in Lettonia ed Estonia, che invece videro in modo traumatico il distacco dalla Madrepatria e da allora vivono in uno stato di semi-apartheid legalizzato, una vergogna senza precedenti per la “democratica” Europa). In tutte le altre Repubbliche la maggioranza della popolazione era favorevole a mantenere l’URSS. In 9 delle 15 Repubbliche (Russia, Ucraina, Bielorussia, Azerbaijan, Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan, Tagikistan e Turkmenistan) si tenne anche un referendum nel 1991, e tutte votarono ad ampia maggioranza per il mantenimento dell’URSS.

[3] Ancora oggi, girando per Chisinau, capitale della Moldavia, si sente parlare tanto in rumeno quanto in russo. Nelle campagne della Moldavia il rumeno è la principale lingua in uso. In Transnistria, Gagauzia e nella municipalità di Balti si parla invece prevalentemente russo.

[4] Città natale dello scrittore russo Nicolaj Lilin, che vi ha ambientato alcuni dei suoi romanzi.

[5] La Transnistria dista più di 500 Km in linea d’aria dal più vicino confine della Russia Continentale e non ha sbocchi al mare. Senza la collaborazione dell’Ucraina è quindi militarmente indifendibile da parte della Russia. In realtà, considerando il fatto che tutta l’Ucraina sud-orientale da Harkov fino ad Odessa è russofona e russofila, dopo un ipotetico smembramento dell’Ucraina e un ritorno delle sue regioni orientali e meridionali nell’orbita russa, un continuum territoriale con la Transnistria sarebbe realizzabile.

[6] I Gagauzi sono una popolazione di etnia turca ma di religione cristiano ortodossa e di lingua prevalentemente russa (esiste comunque anche la lingua gagauza, affine al turco) migrati in Moldavia e nel Budjak all’inizio del XIX Secolo dalla Bulgaria e da altre aree allora appartenenti all’Impero Ottomano.

[7] Questa regione montana del Caucaso Meridionale faceva parte del Regno d’Armenia fin dal 190 a.C. Oggi è ancora abitata da armeni e la lingua ufficiale è l’armeno, utilizzato però qui nella sua versione orientale.

[8] Secondo la leggenda proprio su questa montagna approdò l’Arca di Noè dopo il Diluvio Universale.

[9] Su quasi 9 milioni di Armeni, infatti, solo 3 milioni vivono in Armenia. Altri 3 milioni vivono in Russia, quasi 1 milione negli USA, mezzo milione in Francia, 150.000 nel Nagorno Karabakh. Esistono poi forti minoranze armene in Georgia, Iran e Siria, mentre la numerosissima comunità armena di Turchia fu completamente sterminata dai Giovani Turchi durante il Genocidio Armeno del 1915-16, che contò circa 1,5 milioni di vittime. A causa della mancanza di disponibilità da parte della Turchia a riconoscere tale Genocidio, ad oggi le relazioni diplomatiche tra Armenia e Turchia non sono normalizzate, e il confine è chiuso e presidiato.

[10] Nel 2014, nel pieno della crisi Ucraina, il Dipartimento di Stato Americano fece molte pressioni sull’Azerbaijan per aprire un secondo fronte in Nagorno Karabakh, e solo la repentina convocazione a Sochi, da parte di Putin, dei presidenti di Armenia Serzh Sargsyan  e Azerbaijan Ilham Aliyev in Agosto evitò all’ultimo momento il peggio. Di pochi giorni fa invece è la notizia di una nuova escalation (2 Aprile 2016) con una inaspettata aggressione azera al Karabakh (ancora in corso), proprio due giorni dopo l’incontro tra il Segretario di Stato USA John Kerry e il Presidente dell’Azerbaijan Aliyev a Washington per … discutere come risolvere la questione del Nagorno Karabakh …

[11] In questa data l’Abkhazia entrò per la prima volta nell’orbita georgiana. Ottenne nuovamente l’indipendenza nel XV Secolo per perderla nuovamente nel Secolo successivo a causa della conquista Ottomana.

[12] Popolo nomade di pastori guerrieri di origine iranica, vengono menzionati per la prima volta nel libro “Geografia” di Strabone nel I Secolo d.C. Nel IX Secolo formarono un Regno cristiano sulle montagne del Caucaso, che durò fino al XIII Secolo, quando fu sommerso dalle orde mongole.

[13] La Guerra in Ossezia del Sud durò dal 5 Gennaio 1991 al 24 Giugno 1992. Le truppe dell’Ossezia del Sud, appoggiate da volontari provenienti dall’Ossezia del Nord e dal supporto della Federazione Russa, infine sconfissero l’esercito georgiano.

[14] La Guerra in Abkhazia durò dal 14 Agosto 1992 al 27 Settembre 1993. Le truppe Abkhaze furono affiancate da quelle della Confederazione dei Popoli Montanari del Caucaso e dal Battaglione Bagramyan, composto da volontari armeni residenti in Abkhazia, ed ebbero ragione dell’esercito regolare georgiano.

[15] Oltre che dalla Russia, le due Repubbliche sono state riconosciute anche da Venezuela, Nicaragua, Nauru, Vanuatu e Tuvalu.

[16] Questi due Stati di recente formazione, sebbene occupino aree abbastanza limitate a causa dell’aggressione ucraina che ha sottratto loro molti distretti (ad oggi i territori sono di circa 8.550 Km2 per la Repubblica di Donetsk e circa 8.350 Km2 per la Repubblica di Lugansk), sono di gran lunga i più popolosi tra gli Stati non riconosciuti. La Repubblica di Donetsk conta infatti 2,3 milioni di abitanti e quella di Lugansk 1,5 milioni di abitanti.

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Articolo di Cesare Corda per SakerItalia.it


Guerra Ibrida, da Palmira a Panama

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I documenti di Panama, spogliati fino all’osso, potrebbero rivelarsi, come ho sostenuto, essenzialmente un’operazione di guerra mediatica innescata dalla NSA – che dovrebbe attaccare opportunamente i “nemici” dell’emisfero meridionale (come le nazioni del BRICS) e pedine occidentali selezionati e sacrificabili.

Nel loro stato attuale, le carte di Panama si sono trasformate in un’operazione psicologica armata travestita da “fuga di notizie a cura di attivisti”, direttamente dal libretto della Guerra Ibrida.

L’implacabile, esperta copertura mediatica globale ha faticato non poco a descrivere la grande fuga di notizie come “giornalismo responsabile”, senza riuscire a rispondere a domande che facevano alzare le sopracciglia sul come queste fughe di notizie sono veramente avvenute; come 2.6 terabyte di dati, incluse 5 milioni di email, sono stati editati in maniera selettiva; come è stato possibile ottenerli, poiché criptati; come mai non c’è stata una singola fuga di notizie mentre l’intero malloppo veniva esaminato da 400 o più giornalisti da oltre un anno; e come mai l’informazione è stata rilasciata in maniera così selettiva.

I curatori del “giornalismo responsabile” fanno girare voci secondo le quali questa fuga sarebbe avvenuta tramite un moschettiere digitale; un informatore. Non necessariamente. La fuga di notizie ha già scatenato una guerra di credibilità tra Wikileaks e l’informatrice Mainstram, pesantemente compromessa, basata a Washington, finanziata dalle fondazioni USA, chiamata ICIJ.

La tesi della NSA è sorretta dal fatto che la NSA è specializzata nel violare qualsiasi database situato ovunque, rubare “segreti” e poi distruggere/ricattare/proteggere in maniera selettiva i beni dei “nemici” secondo gli interessi del governo americano. Aggiungete che Ramon Fonseca, il socio fondatore di Mossack Fonseca, sottolinea “Escludiamo si tratti di un lavoro interno. Questa non è una fuga di notizie, è una violazione della sicurezza.”

Rispondere alle “minacce strategiche”

Le carte di Panama funzionano bene sia come attacco di precisione, sia come “messaggio” per una vasta schiera di giocatori per rimettersi in riga – o peggio per loro; dopo tutto, la fuga/violazione svela una rete di connessioni a diverse decine di compagnie, individui e politici nell’emisfero meridionale che sono delle superstar – o aspiranti tali – nella lista nera delle sanzioni americane.

Il mettere a fuoco ossessivo dei media globali sui nemici e/o le “minacce strategiche” all’Eccezionalistan fa alzare le sopracciglia; ecco come la leadership di Beijing lo sta attentamente analizzando.

Le carte di Panama casualmente coincidono con una grande offensiva statunitense sui trattati commerciali. Potete leggerlo come un sollecito della presa di potere corporativa del TPP-TTIP; se non vi unite alla nostra partita per un Commercio Mondiale Unico, controllata dagli Stati Uniti, vi lanceremo fango addosso.

E’ naturalmente sano che ci venga offerto uno spunto sulle sporche correnti sotterranee del casinò del turbo capitalismo, cioè il “sistema finanziario globale”, dove le grandi banche e un esercito di squali finanziari permettono a compagnie “segrete” di depositare fondi illeciti o provenienti dalla corruzione.

Parallelamente, è illuminante osservare come oggi tutte le transazioni monetarie sono totalmente tracciabili. Le carte di Panama casualmente arrivano pochi mesi prima che un oscuro trattato di condivisione delle informazioni entri in vigore. Se gli squali della finanza globale riusciranno a circonvenire tali pratiche è una domanda aperta. Cruciale; Panama non fa parte dei firmatari.

Dal punto di vista degli squali della finanza, oltre la metà delle compagnie elencate nella fuga di notizie/violazione sono registrate in Gran Bretagna o nelle “dipendenze della Corona”. Assaporate il dolce odore di vendetta delle corporazioni americane denuncianti l’evasione fiscale dell’Impero Britannico.

Tutti sanno che la City di Londra opera largamente come un racket per riciclare denaro sporco. Eppure scordatevi che i giornalisti britannici “responsabili” ne parlino in dettaglio. E’ molto più popolare dare la colpa a Putin per associazione di colpa piuttosto che esaminare come il padre di Cameron, Ian, ha deciso di mettere da parte il denaro di famiglia (e l’eredità del futuro Primo Ministro) lontano dagli esattori.

Oppure come il Presidente della entità  fallita NATO-friendly, Petro Poroshenko, mette da parte la sua fortuna non nell’Ucraina senza regole ma nelle “protette” Isole Vergini. E scordatevi di investigare l’ex capo ufficio del’ex Primo Ministro Ariel Sharon, Dov Weisglass, che, come il padre di Cameron e Poroshenko, è nominato nelle carte di Panama.

Oltretutto, non aspettatevi presto carte dalle Cayman o dalle Isole Vergini – il vero affare. La vera élite non lo lascerà mai succedere.

Panama rivista

E poi c’è il punto di vista finale dell’Eccezionalistan. Anche Bloomberg, tre mesi fa, ha annunciato formalmente all’opinione pubblica globale che il nuovo paradiso fiscale nel mondo sono gli Stati Uniti – assieme al noto provider di servizi per i paradisi fiscali, Rothschild-a-Reno. Diversamente da Panama, qualsiasi cosa succeda a Reno resterà a Reno – e non stiamo parlando di notti di lap-dance selvaggia nel deserto del Nevada.

Aggiungeteci il punto di vista di una fonte profondamente connessa al governo riguardo i “soli 441 Americani” (ciascuno di loro ancora avvolto nel mistero) nominati nella fuga/violazione; “L’ufficio del Nevada della Mossack Fonseca, tramite la NSA, ha ricevuto in anticipo informazioni per avvertire Panama, allo scopo di cancellare tutte le prove in Nevada. La NSA è un meccanismo di controllo politico. Non hanno nulla a che fare con il terrorismo e non avrebbero alcuna idea di dove cercare se non fossero guidati da infiltrati del genere Operazione Gladio.”

La guerra del governo statunitense ai paradisi fiscali è, come prevedibile, anche selettiva. La Svizzera è stato un bersaglio chiave. Ora Panama. Considerando la tesi della NSA, è chiaro che miliardari chiave e corporazioni americane sarebbero stati tutti omessi dalla fuga/violazione.

La prova schiacciante riguardo le carte di Panama, per non essere vista come una limitata operazione psicologica, sarà per esempio se HSBC, Coutts (una sussidiaria di RBS) e UBS – tutte profondamente connesse con Mossack Fonseca – saranno investigate compiutamenente. Se i commercianti di petrolio Vitol, connessi al sovrano dell’Azerbaijan Ilham Aliyev dalle carte di Panama, saranno investigati. Se Poroshenko sarà investigato. Se le disgustose connessioni tra le grandi compagnie petrolifere e le grandi banche occidentali saranno svelate.

E, ovviamente, dopo che le carte di Panama avranno messo in riga inaffidabili trafficanti di armi, baroni della droga, oligarchi corrotti e evasori delle tasse, potranno continuare ad essere largamente ricompensati, indisturbati – finché sapranno come giocare alle regole del casinò capitalista supercaricato.

Perché adesso?

Le carte di Panama hanno a che fare con il tempismo. Perché adesso? Dopo tutto, questo malloppo gigante è rimasto sotto esame in totale segreto per oltre un anno.

Le carte di Panama rientrano perfettamente nella Guerra Ibrida. Come l’inchiesta Car Wash [Autolavaggio, NdT] in Brasile – che è una continuazione delle operazioni di spionaggio della NSA su Petrobras – le carte di Panama potrebbero essere viste come un Monster Truck Wash [Lavaggio di Mega-Camion, NdT], che abbia come bersaglio l’emisfero meridionale e i BRICS in particolare.

Non è un caso che immediatamente dopo che la fuga di notizie/violazione di sicurezza è venuta alla luce, il patrono supremo del Pentagono Ash Carter, parlando al Centro per gli Studi Internazionali e Strategici (CSIS) a Washington – un vicino dell’ICIJ – ha insistito nuovamente che il Pentagono aveva bisogno di essere più “agile” per combattere le cinque sfide strategiche degli Stati Uniti, che ha nominato nell’ordine: “Russia, Cina, Nord Corea, l’Iran e il terrorismo.”

Notate il “pericolo” predominante costituito dalla Russia, Cina e Iran – i nodi chiave dell’integrazione euroasiatica, e tutti loro pesantemente inclusi nelle carte di Panama, per la maggior parte colpevoli di associazione.

Il tempismo dell’uscita di questa fuga/violazione ha certamente qualcosa a che fare con Palmira. La sua recente liberazione – per 3000 anni la porta verso il Sud Ovest dell’Asia per coloro che vengono da occidente, e la porta per il Mediterraneo per coloro che vengono da Oriente – era un brillante piano geostrategico che ha lasciato molti al Pentagono a bocca aperta.

Daesh ha trasformato Palmira in una base chiave per un attacco totale a Damasco – controllando l’unica strada che portava alla capitale.

Quindi solo una contro offensiva coordinata – fino a 20.000 uomini, dall’esercito siriano (SAA) a milizie locali, forze speciali di Hezbollah, pasdaran iraniani (inclusi parecchi afgani addestrati dagli iraniani) e Spetsnaz russi – sarebbe stata in grado di allontanare la minaccia.

Generali siriani sono stati irremovibili nel sottolineare che l’Europa, “invasa” dai rifugiati “liberati” dal sultano turco Erdogan, ha del tutto preferito dare sostegno a questi inesistenti “ribelli moderati”- una finzione della cricca di Washington – armata dalla Turchia e dall’Arabia Saudita. Ora gli europei devono fronteggiare le conseguenze sul suolo europeo.

L’esercito siriano nel frattempo, ha difeso Damasco, ha difeso una Siria unita e laica e – i generali dell’SAA lo sottolineano con orgoglio – ha difeso la stessa Europa. Il loro lavoro non si fermerà a Palmira. I prossimi obbiettivi, per i prossimi mesi, sono Deir Ez-Zour, poi l’assalto finale alla falsa capitale del “Califfato”, Raqqa.

Quindi che ruolo ha giocato l’Eccezionalistan – la terra della “guerra al mondo” – in questo epico sforzo?

Nessuno. Non è un caso che il terrorismo compaia per ultimo nella lista delle “minacce strategiche” del Pentagono. E’ come se la finzione stesse svelando la realtà, come nell’ultima scena dell’attuale stagione di House of Cards: “We make the terror” [noi creiamo il terrore, NdT].

Nel caso del Daesh, Washington ha “creato il terrore”, come l’ha fatto accadere; il fiorire del falso “Califfato” era una decisione ostinata del governo statunitense. E ora la Russia ha fatto esplodere definitivamente – davanti agli occhi di tutti – l’immaginario autoritratto narcisistico del governo degli Stati Uniti.

Ahi, questo fa male. Indizio che porta alla famosa visita del Segretario di Stato americano John Kerry a Mosca, due settimane fa, per parlare al Presidente Putin.

Potrebbe essere stato tutto parte di un “grande affare” in Siria (no, non è trapelato nulla riguardo ciò che hanno discusso veramente). E potrebbe essere stata una ritirata tattica, visto che Kerry ha ammesso che la Russia ha “vinto” in Siria, ma la NATO – come il Pentagono – manterrà la pressione sui confini della Russia. La Guerra Ibrida ricomincerà poco dopo, attraverso le carte di Panama.

Comandiamo il mondo (We rule one world)

Un finto “Califfato” non sarà mai una minaccia strategia per l’Eccezionalistan; ma l’integrazione Euro-Asiatica certamente lo è.

C’è poco da stupirsi se a Washington sono allarmati. La Siria ha già prodotto due risultati chiave.

  1. La coordinazione ad alto livello tra Mosca, Damasco, Teheran e Baghdad – attraverso il centro di informazioni congiunto a Baghdad – era l’anticamera di come la SCO (Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai), in futuro, potrebbe intervenire in punti caldi in maniera del tutto opposta alla NATO: sradicando il caos invece che fomentarlo attraverso il fondamentalismo umanitario.
  2. Questa era anche l’anticamera, in termini di collaborazione tra stati, su come la Nuova Via della Seta potrebbe muoversi attraverso l’Eurasia, integrando via via la Cina e la Russia con l’Asia Centrale e il Sud Ovest asiatico.

Per quanto riguarda Washington, le priorità restano le medesime. Prima di tutto, prevenire la Russia e l’Europa dal raggiungere scambi commerciali e collaborazioni strategiche che possano aiutare l’integrazione con l’Eurasia. L’irriducibile Guerra Ibrida in Ucraina mette i bastoni tra le ruote, così come il fatto che la NATO stia preparando “pattuglie” stazionate negli stati vassalli dell’Europa Orientale.

L’obbiettivo chiave è prevenire l’integrazione Euroasiatica in tutti i modi possibili. Per quanto riguarda Wall Street, ciò che importa è costruire un unico flusso di capitale americano dal quale possa trarre beneficio un sistema turbo-capitalista controllato dagli Stati Uniti – e non dall’Eurasia.

Rispetto alla Grande Rappresentazione, alla fine Panama ci riporterà sulla buona vecchia strada della mattanza. E non è sufficiente.  Aspettatevi un lungo seguito, perché questo avido Monster Truck da guerra ibrida percorre una strada senza fine.

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Articolo di Pepe Escobar pubblicato da Sputnik Int. il 7 Aprile 2016

Traduzione in Italiano a cura di Sascha Picciotto per SakerItalia.it

Perché la Russia ha sostituito i Su-25 con elicotteri d’attacco?

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L’agile Ka-52

A metà Marzo Putin ha ordinato il ritiro delle forze armate dalla Siria. Immagini satellitari mostrano ciò che i russi hanno ritirato: 3 bombardieri tattici Su-24 su 15 disponibili, 4 Su-34 di 8 disponibili  e l’intera flotta di 12 bombardieri da attacco al suolo Su-25.

Sono rimasti in Siria tutti i caccia da superiorità aerea Su-30 e Su-35; sono stati trasportati nel paese almeno 4 elicotteri d’attacco Mi-28 e Ka-52. In tutto, da Gennaio a Marzo l’incremento di elicotteri russi in Siria è aumentato da 4 mezzi a 14.

Dunque il ritiro russo non solo ha significato una riduzione nelle forze russe presenti, ma anche una modifica nella sua composizione. Gli aerei d’attacco al suolo sono stati completamente ritirati e gli elicotteri li hanno sostituiti.

Un Su-25 ha caratteristiche diverse da un elicottero d’attacco ma il ruolo rimane il medesimo. Sono progettati per offrire supporto aereo ravvicinato a truppe di prima linea impegnate a terra. Perché dunque cambiare gli uni per gli altri?

I Su-25s russi che sono stati utilizzati in Siria erano vecchi modelli. E’ probabile che nel giro di sei mesi abbiano effettuato così tante sortite da rendere necessario un rientro allo stabilimento per le revisioni di routine.

Nonostante questo, non può trattarsi dell’unica ragione per la quale i Su-25 sono stati sostituiti da elicotteri d’attacco. I russi potevano facilmente scambiare i Su-25 con altri aeromobili effettuando una rotazione, ma hanno deciso diversamente.

Ecco dove le cose si fanno interessanti. Non è mai stato un segreto che i ribelli siriani possedessero armi anti-aeree, inclusi missili da spalla (“MANPAD”, cioè sistema di difesa aerea portatile).

Si credeva che solo un numero esiguo di queste armi fosse in loro possesso poiché era in atto un blocco da parte dei loro sostenitori per l’introduzione di tali armi nel conflitto (armi che potrebbero essere usate in attacchi terroristici).

Schermata 2016-04-11 alle 13.33.00Recentemente, comunque, è diventato evidente che questo blocco è stato superato: questo mese due jet siriani sono stati abbattuti, e cominciano ad apparire su internet le foto di ribelli in posa con quest’arma.

E’ sicuro che i russi abbiano notato che i ribelli stessero ricevendo sempre più armamenti di questo genere, o sapessero in anticipo che sarebbero stati spediti dei MANPADS.

Quindi o i russi sapevano, oppure hanno realizzato rapidamente i rischi per i loro aeromobili nei cieli siriani. Perché ritirare i Su-25?

Il Su-25 è un aereo da attacco al suolo con un concetto simile all’A-10 Thunderbolt II americano, anche si i russi hanno una tradizione più lunga nel costruire tali aerei, risalente al leggendario Ilyushin Il-2 della Seconda Guerra Mondiale.

Il suo scopo è attaccare il nemico in picchiata e da distanza ravvicinata. Naturalmente questo lo espone al fuoco dell’anti-aerea a corto raggio molto più di un Su-24 o un Su-34, che generalmente attaccano da altitudini superiori e più distanti dal fronte.

E’ logico dunque per i russi ritirare i Su-25 invece che gli altri aerei, ma perché sostituirli con elicotteri?

Un Su-25 è molto più resistente di un elicottero, è blindato, capace di abbandonare il campo di battaglia velocemente, scende a bassa quota solo durante l’attacco e, più importante di tutti, può effettuare manovre evasive con una accelerazione di gravità (G) superiore a quella di un elicottero.

L’arma segreta russa

 

Ecco la spiegazione. Gli elicotteri d’attacco russi sono arrivati con le contromisure create per disturbare i MANPADS, sistema che manca ai Su-25.

I russi han sviluppato un “sistema di difesa aerea” chiamato President-S che nei loro test si è dimostrato capace di ingannare Strela-2, Strela-3 e lanciamissili da spalla Igla con facilità. Qualsiasi mezzo equipaggiato con questo sistema lo rende completamente immune a queste armi, eccetto gli ultimi armamenti concepiti, come il missile russo Verba.

Il President-S, secondo i costruttori, ha dimostrato il suo potenziale anche sul campo di battaglia in Siria:

“I sistemi di disturbo elettronici montati sui Mi-28N sono stati facilmente in grado di sopprimere le minacce provenienti dai vecchi dispositivi anti-aerei portatili in mano ai terroristi, in particolare Strela-2 e Igla-1 di costruzione sovietica, così come gli HN-5 di costruzione cinese.”

Gli elicotteri moderni russi sono equipaggiati con il sistema di contromisure President-S, ma finora i Su-25 non ne hanno beneficiato. La variante Su-25SM3 potrà vantare un sistema simile, il Vitebsk-25, tuttavia non ve ne è alcuno in servizio al momento.

Ecco ciò che spaventa: i russi hanno sviluppato un sistema di difesa contro i MANPADS che secondo loro è così efficace da rendere più sicuro un Ka-52 di un carro armato volante come il Su-25.

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I Su-25 potrebbero tornare dopo qualche modifica

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Articolo di Mark Nicholas per Russia Insider, pubblicato il 10 Aprile 2016
Traduzione a cura di Sascha Picciotto per SakerItalia.it

La controversia su Stalin – un “paniere” di considerazioni preliminari

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Nell’introdurre la serie di video di Jimmie Moglia su Stalin ho promesso di condividere con voi la mia opinione su questa personalità quanto mai controversa. Permettetemi di dire subito che quello che scriverò qui di seguito non è sicuramente una sorta di analisi fondamentale della vita e della personalità di Stalin, ma piuttosto alcuni pensieri più o meno sconnessi su un tema che sento ancora di non capire.

La figura di Stalin è sempre stata controversa. Alcuni hanno pensato a lui come al “leader di tutti i tempi e di tutte le nazioni” (“вождь всех времен и народов”), mentre altri lo hanno visto come l’epitome del male, un maniaco genocida che ha ucciso più persone di qualsiasi altro individuo nella storia. In realtà, questo tipo di polarizzazione è probabilmente una forte indicazione del fatto che la questione è molto complessa e che è improbabile che una risposta semplice in bianco e nero possa valutare correttamente la persona di Stalin e la sua eredità. Il fatto che in realtà c’è stato un “culto della personalità” durante la vita di Stalin, e che questo è stato seguito da una denuncia emotiva da parte di Krusciov, ha solo peggiorato le cose. Stalin è sicuramente una figura polarizzante e io stesso sono stato sottoposto a tale polarizzazione fin dalla mia prima infanzia.

Io scrivo un blog anonimo e dico sempre che ciò che conta non è chi sono, o sono state, le persone, ma quello che hanno da dire, le loro idee. Ma in questo caso, i miei punti di vista sono stati così fortemente polarizzati che per lo meno devo ammetterlo con onestà e spiegare prima di procedere oltre.

Sono nato in una famiglia di rifugiati russi che hanno lasciato la Russia alla fine della guerra civile. Nel linguaggio sovietico eravamo quelli che erano chiamati ‘недобитые белобандиты “, un termine che potrei approssimativamente tradotto come “banditi bianchi fuggiti” o “banditi bianchi non giustiziati”. Qualunque sia la traduzione preferita, si tratta difficilmente di un vezzeggiativo, per non dire altro. E la sensazione era molto reciproca. Non solo la mia famiglia era piena di “guardie bianche”, il mio nonno si era unito agli Schutzkorps russi in Serbia. Dopo la guerra, la mia famiglia emigrò in Argentina dove, a mio parere probabilmente si raggruppò la parte più violentemente anticomunista dell’emigrazione russa in genere. Dopo che sono nato in Svizzera, dove i miei genitori si erano trasferiti (la Swissair stava assumendo piloti nei primi anni ’60), sono stato cresciuto come un rabbioso anti-comunista e sono stato coinvolto in così tante attività anti-sovietiche che un giorno un funzionario del KGB in Spagna è arrivato a farmi una minaccia di morte (non aveva l’autorità per farla ed è stato, di fatto, severamente punito dalla sua stessa gente per questo – ma questo l’ho saputo solo più tardi). Per farla breve, per la maggior parte della mia vita i miei sentimenti verso Stalin sono stati molto simili a ciò che molti ebrei oggi provano per Hitler: assoluto e totale odio, disgusto e rifiuto.

I lettori di questo blog sanno che, per usare un eufemismo, ho dovuto riconsiderare la maggior parte di quello che ho creduto per anni e, in una certa misura, questo riguarda anche le mie opinioni correnti (per quanto incerte e informi) su Stalin. Sono fondamentalmente diviso tra due “correnti di pensiero” che si escludono a vicenda:

Solzhenitsyn nel Gulag

La prima è quella che è meglio rappresentata da Alexander Solzhenitsyn, che io considero il più importante autore e filosofo russo del XX secolo, e che ha avuto un enorme impatto non solo sulla mia visione del mondo, ma anche su tutta la mia vita. Mentre oggi agli autori pro-Stalin come Starikov piace diffamarlo e screditarlo, io so semplicemente troppo di questo uomo e del suo immenso corpus di scritti (che ho letto completamente almeno due volte) per accettare tali caratterizzazioni. Per me Solzhenitsyn rimane l’incarnazione vivente dello spirito russo e un vero e proprio “gigante”, la cui potente voce è stata l’ultima espressione della Russia pre-sovietica, che formalmente è scomparsa nel 1917, ma che ha continuato a sopravvivere clandestinamente in Unione Sovietica fino al 1991. Detto questo, Solzhenitsyn non era infallibile, e mentre io accetto ancora la maggior parte di quello che ha detto, alcune delle sue conclusioni sono, a mio parere, sicuramente sbagliate (come il suo punto di vista sul socialismo e sulla sinistra in generale). Ecco ciò che ha effettivamente scritto in questo famoso Arcipelago Gulag circa il terrore sovietico:

Secondo le stime del professore in esilio di statistiche I. A. Kurganov, 1917-1959, ed escludendo le perdite di guerra, solo la distruzione terrorista, la soppressione, la fame, l’elevata mortalità nei campi, e compreso il successivo basso tasso di natalità, ci sono costati 66,7 milioni di persone” (“Arcipelago Gulag“, parte 3, capitolo 1).

E in un’intervista nel 1976, Solzhenitsyn ha detto: “Il professor Kurganov ha calcolato indirettamente che solo dal 1917 al 1959, per la guerra interna del regime sovietico contro il proprio popolo, cioè per la distruzione provocata dalla sua carestia, dalla collettivizzazione, dalla deportazione dei contadini in prigioni, campi e semplici esecuzioni – solo da queste cause abbiamo perso, insieme con la nostra guerra civile, 66 milioni di persone“.

Queste cifre INCLUDONO la sanguinosa guerra civile, il cosiddetto “comunismo di guerra“, le numerose insurrezioni anti-bolsceviche (come per esempio quella di Tambov), le morti derivanti dalla cosiddetta “collettivizzazione” e “dekulakizzazione“, la “pura” repressione politica sotto il famigerato articolo 58 del codice penale della RSFSR e perfino il conseguente basso tasso di natalità. Quindi stiamo parlando di una stima “alla grande”. Ma ci sono alcuni problemi con queste cifre, ne cito solo una veramente lampante:

Vi è un consenso generale tra gli storici pro e anti-sovietici che alcune delle repressioni politiche più feroci e orribili in Unione Sovietica hanno avuto luogo tra il 1934 e il 1937, quando la polizia segreta (politica) era guidata da due figure veramente demoniache, Genrikh Jagoda e Nikolaj Ezhov. Eppure, le cosiddette “grandi purghe” (1936-1938) coprono anche il momento in cui il famoso Lavrentij Berija divenne il capo della polizia segreta (politica). Ma chiedetevi, se queste furono “purghe”, chi era stato esattamente “purgato”? I contadini? Il clero? I piccoli borghesi o forse la nobiltà? Niente affatto, furono i membri del partito e, prima di tutto, della polizia segreta (politica), vale a dire esattamente le persone che erano state colpevoli delle atrocità commesse tra il 1934 e il 1937. In realtà – molti di loro furono giustiziati proprio per tradimento, abuso di potere, esecuzioni illegali, ecc. E così come si possono ammassare le cifre di coloro che sono stati giustiziati dallo stato sovietico durante gli anni 1934-1937 insieme con le cifre di coloro che, a loro volta, furono giustiziati proprio per aver commesso queste atrocità?! Questo sarebbe tanto illogico quanto contare le impiccagioni del processo di Norimberga come “atrocità naziste”!

Inoltre, abbiamo bisogno di citare qui almeno un fattore cruciale: i trotskisti. Ho già scritto su questo tema in passato (vedi qui) e non mi ripeterò di nuovo ora, ma limitiamoci a riassumere tutto dicendo che c’erano almeno due fazioni principali in lotta l’una contro l’altra all’interno del regime bolscevico: una erano i trotskisti, che erano per lo più ebrei, avevano un odio rabbioso e perfino razzista per il popolo russo e il cristianesimo ortodosso, avevano il pieno sostegno dell’Occidente, soprattutto degli ambienti finanziari occidentali (banchieri ebrei) e praticamente avevano diretto la Russia sovietica dal 1917 al 1938, quando Stalin e Berija avevano diretto una campagna di terrore volta a liberare finalmente il partito dai molti trotskisti che vi rimanevano ancora (anche se Trotskij aveva perso il potere nel 1927 e aveva lasciato l’URSS nel 1929). Al fine di purgare il partito, Stalin vi aveva portato i suoi georgiani di fiducia (come lo stesso Berija) e insieme hanno scatenato una brutale campagna per reprimere coloro che erano stati essi stessi a capo del terrore solo pochi mesi prima.

Tra l’altro, questa non era la prima sanguinosa epurazione condotta da Stalin. Prima di schiacciare la “vecchia” polizia segreta (politica) Stalin la usò prima per condurre una purga estremamente violenta e sanguinosa delle forze armate sovietiche, compreso il suo più famoso personaggio, il maresciallo Mikhail Tukhachevskij e la sua famiglia. Non voglio entrare nei dettagli di queste epurazioni, ma devo dire che sono pienamente d’accordo con “Viktor Suvorov” (alias Vladimir Rezun) che nel suo straordinario libro Очищение (“La purga“) argomenta che Stalin aveva assolutamente ragione a eliminare questi generali e ufficiali dall’esercito sovietico prima della seconda guerra mondiale (per coloro che leggono il russo, è possibile trovare questo libro on-line qui: http://tululu.org/b54600/).

Così ciò che ha fatto Stalin è questo: ha scatenato la “vecchia guardia” bolscevica (cioè i trotskisti) contro i militari, e una volta che i militari sono stati eliminati, ha poi scatenato la sua “nuova guardia” (gli “stalinisti”) contro i trotzkisti e purgato il partito dalla maggior parte di essi. Un metodo molto, molto spietato davvero, ma, in tutta onestà, anche molto intelligente. Pensatelo in questo modo: Stalin aveva ereditato un partito pieno di elementi rabbiosi, traditori e semplicemente folli e un partito che era ancora pieno di trotskisti (cosa che ha senso, perché più di chiunque altro Lev Trotskij dovrebbe essere “accreditato” per la creazione dell’esercito sovietico, la vittoria nella guerra civile e la frantumazione di tutta l’opposizione interna in una grande campagna di terrore russofobo). Stalin ha trasformato questo partito in un partito gestito da un uomo, se stesso, un partito purgato dagli agenti esterni trotskisti e che aveva la flessibilità ideologica per fare effettivamente appello al popolo russo per combattere e, infine, per sconfiggere gli invasori nazisti durante la seconda guerra mondiale . Penso che non ci sia bisogno di “approvare” Stalin per vedere che mentre i suoi metodi erano, senza dubbio, senza scrupoli, i suoi risultati sono stati piuttosto impressionanti: non solo ha vinto la seconda guerra mondiale, ma nonostante il costo terribile in vite umane e distruzioni, ha trasformato un’Unione Sovietica insanguinata e gravemente martoriata in una potenza mondiale con una potente economia, una comunità scientifica di livello assolutamente mondiale e uno standard di vita notevolmente elevato durante gli anni della ripresa.

Il grande problema qui è quello dei costi, soprattutto in vite umane. Francamente, quali che siano le cifre reali, non vi è alcun dubbio nella mia mente che i costi siano stati enormi. Gli stalinisti ora possono dire quello che vogliono e cercare di razionalizzare questi orrori in molti modi, ma non c’è alcun dubbio nella mia mente che a Stalin non importasse sacrificare milioni di persone nel progresso verso ciò che vedeva come il bene più grande. Il modo in cui egli e il maresciallo Zhukov hanno inviato milioni di persone a morire in disperati e, spesso, inutili tentativi di schiacciare la Wehrmacht tedesca è qualcosa che può essere razionalizzato, ma non negato. Eppure, gli stalinisti hanno un potente contro-argomento: una persona gentile e mite come lo tsar martire Nicola II avrebbe potuto prevalere contro Adolf Hitler? A questo non ho una risposta, ma ammetto che l’argomento è convincente.

Un altro potente argomento che gli stalinisti portano oggi sono le cifre sovietiche interne sul numero di persone effettivamente giustiziate da Stalin. Qui la cosa si fa interessante.

La Wikipedia russa ha un lungo articolo intitolato “Le repressioni di Stalin” (https://ru.wikipedia.org/wiki/Сталинские_репрессии) che non è stato tradotto nella Wikipedia inglese, che offre solo un articolo superficiale e, francamente, di parte sulle persone giustiziate durante le grandi purghe). Ecco ciò che dice la Wikipedia russa (traduzione automatica di Google, leggermente corretta da me):

Nel febbraio 1954 è stato preparato un documento di riferimento con un certificato firmato dal procuratore generale dell’URSS R. Rudenko, dal ministro degli Interni S. Kruglovym e dal ministro della Giustizia K. Gorsheninym, per NS Krusciov. Vi si afferma che il numero dei condannati per crimini controrivoluzionari per il periodo dal 1921 al 1 febbraio 1954, condannati secondo il rapporto dal Consiglio della OGPU, dalla “trojka” della NKVD, dai tribunali speciali, dal Collegium militare, dai tribunali penali e militari ammonta a 3.777.380 persone, tra cui 642.980 condannati a morte, 2.369.220 condannati a prigionia nei campi e nelle prigioni con una pena di 25 anni e inferiore, e 765.180 condannati all’esilio e all’espulsione. Secondo il “Testo di riferimento # 1 del dipartimento speciale del ministero degli Interni dell’URSS sul numero di detenuti e prigionieri nel periodo 1921-1953″ dell’11 dicembre 1953, firmato dal capo del dipartimento dell’archivio del ministero degli Interni Pavlov, sulla base di dati, a quanto pare, compilati per informare Krusciov, per il periodo 1921-1938 riguardo a Cheka-GPU-NKVD, e dal 1939 a metà 1953 riguardo a crimini controrivoluzionari 4.060.306 persone sono state denunciate alla giustizia e alle autorità extragiudiziali, 799.455 persone sono state condannate a morte, 2.631.397 persone all’incarcerazione in campi e prigioni, 413.512 persone all’esilio e all’espulsione, 215.942 persone ad “altre misure”. Secondo questo documento, il periodo coperto va dal 1921 al 1938. in cui su 4.835.937 persone (3.341.989 per accuse politiche, 1.493.948 per altri crimini) 2.944.879 sono state condannate, tra le quali 745.220 alla pena capitale. Nel 1939-1953 sono state condannate per accuse politiche 1.115.247 persone, di cui 54.235 giustiziate (23.278 di loro nel 1942). Secondo diversi ricercatori, solo per il periodo dal 1930 al 1953 per accuse politiche sono stati arrestati da 3,6 a 3,8 milioni di persone, e tra queste da 748.000 a 786.000 persone sono state giustiziate [149] [155] [156]. Il picco principale delle esecuzioni è venuto negli anni del “grande terrore”, dove sono state giustiziate 682-684 mila persone. In totale nel 1918-1953 gg., Secondo l’analisi statistica dei dipartimenti regionali del KGB dell’URSS, condotta nel 1988, sotto gli organi della Cheka-GPU-NKVD-NKGB-MGB sono state arrestate 4.308.487 persone, di cui 835.194 sono state giustiziate.

Ora vorrei subito dire che ciò che conta qui non sono le cifre esatte, ma l’ordine di grandezza: un numero inferiore a 5 milioni di persone giustiziate, vale a dire meno di 1/10 della cifra di 66 milioni del prof. Kurganov citata da Solzhenitsyn. Naturalmente, questo è un caso tipico di paragone tra cose molto diverse tra loro poiché, da un lato, Kurganov parla di morti (e perfino di persone non nate) dal 1917 al 1959, mentre le cifre sopra citare indicano solo le persone ufficialmente e legalmente giustiziate e incarcerate tra il 1921 e il 1938/51/54. E, ancora una volta, né l’una né l’altra cifra fanno alcuna differenza tra coloro che erano innocenti dei crimini a loro imputati e coloro che meritavano di essere giustiziati per le atrocità che essi stessi avevano commesso.

A questo punto nella storia non credo che abbia senso che anche noi ci soffermiamo troppo su queste cifre. Personalmente, sono giunto alla conclusione che non voglio ricadere nella stessa trappola di tanti ebrei con la loro insistenza ridicola che “6 milioni di ebrei” sono stati uccisi dai nazisti o che le camere a gas sono state utilizzate per ucciderli tutti. Vi è un rischio reale per i russi come me, allevati in famiglie che odiavano Stalin con tutto il cuore e l’anima, di sacralizzare la cifra dei “66 milioni”, che è una trappola che voglio evitare. Tuttavia, c’è qui un altro pericolo, quello di minimizzare il numero di persone uccise da Stalin (o da Hitler, è per questo). Sarebbe sbagliato o, almeno, prematuro, concludere che, poiché non ci sono prove molto forti che la cifra dei 66 (o di quella dei 6 milioni) sia corretta, allora Stalin (o Hitler) non ha ucciso un numero immenso di persone. Dal momento che ho personalmente conosciuto persone che hanno subito le atrocità dei campi di Stalin (e di quelli di Hitler), non vi è alcun dubbio nella mia mente che un enorme numero di persone abbia sofferto terribilmente sotto il dominio di questi due dittatori.

Quindi non ci restano che domande sgradevoli come “quale cifra è troppo alta?“, “il risultato valeva i costi?“, “si dovrebbe accusare l’uomo o il sistema da lui ereditato?” E, cosa più importante, “che dire di tutti gli altri?”. E qui non mi riferisco a Hitler, ma ai criminali di guerra genocidi come Winston Churchill o Harry Truman o, più precisamente, agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna, il cui record di atrocità genocide fa sembrare i bolscevichi quasi ragionevoli. Proprio come Ivan IV “il Terribile” dovrebbe essere confrontato con persone “gentili” come Enrico VIII d’Inghilterra (che non fu chiamato “il Terribile” per qualche motivo) o Caterina de’ Medici (che istigò il massacro di San Bartolomeo). La terribile verità è che al processo di Norimberga gli imputati avevano molto meno sangue sulle mani rispetto agli accusatori (in tutta onestà, avevano anche avuto molto meno tempo per commettere le loro atrocità genocide). Niente di tutto questo vuole essere un modo per giustificare o discolpare Stalin, ovviamente, ma solo per ricordare a tutti noi il contesto abominevole in cui hanno avuto luogo la vita e il dominio di Stalin.

Una cosa mi è assolutamente chiara. Non c’è mai stata una cosa come lo “stalinismo” – almeno non nel senso di un certo periodo speciale di atrocità, malvagio in modo univoco o massiccio. Al massimo, le idee di Stalin potrebbero essere indicate come “stalinismo”, soprattutto se confrontate con le idee di Trotsky, e direi, avendo letto tutti e due, che Stalin risulta molto meno brillante ma molto più pragmatico e ragionevole. Quale che sia il caso, al giorno d’oggi lo “stalinismo” è utilizzato, almeno in Occidente, come metafora del “male assoluto”, e questo è semplicemente e chiaramente contrario ai fatti e sbagliato.

In Russia, sta avvenendo qualcosa di molto diverso. In alcuni ambienti, Stalin sta diventando piuttosto popolare. In realtà, direi che Stalin è sempre rimasto popolare in Unione Sovietica, anche dopo le cosiddette “rivelazioni” al XX Congresso del Partito e il “discorso segreto” (non così tanto segreto) di Krusciov.

[Inciso: non ho il tempo e lo spazio per addentrarmi ora in questa storia sordida, ma vorrei solo riassumerla dicendo che Stalin è stato assassinato dal suo entourage e che, al fine di prendere il controllo di una scioccata Unione Sovietica, Krusciov ha intrapreso una massiccia campagna diffamatoria anti-Stalin, nascondendo il fatto di essere stato lui stesso uno dei peggiori carnefici dell’era di Stalin; Krusciov è stato una figura incredibilmente immorale e spregevole e uno dei leader sovietici più incompetenti di sempre. Non meno di Gorbaciov, dovrebbe essere incolpato per l’inevitabile crollo di un sistema che ha fatto così tanto per indebolire].

Con tutta la propaganda anti-stalinista negli anni di Krusciov e tutta la propaganda anti-stalinista negli anni ’90, la maggior parte dei russi rimane profondamente consapevole dei successi innegabili dell’epoca sovietica in generale e della prosperità che Stalin alla fine ha portato all’Unione Sovietica nonostante l’enorme danno inflitto all’URSS nella seconda guerra mondiale. Ma anche qui c’è una trappola.

La mente umana ha la tendenza a respingere tutto ciò che dice un bugiardo e truffatore riconosciuto, così come noi non prestiamo molta attenzione a ciò che potrebbe sostenere una persona per la quale altrimenti proviamo antipatia. Il problema di questo è che, mentre Krusciov e Eltsin hanno tradito entrambi il proprio partito ed erano persone disonorevoli, non tutti i loro argomenti erano falsi. Allo stesso modo, coloro che vedono le falsità della propaganda corrente dei “6 milioni” e delle “camere a gas” rischiano di concludere, pertanto, che tutto ciò che riguarda le atrocità genocide di Hitler è solo un mito, e che non ci sono stati milioni di persone innocenti uccise dal regime nazista. A volte, mi ritrovo bloccato con un’intensa antipatia per entrambe le parti di un dibattito (per esempio su questioni come l’aborto), e considerando che Stalin è il tema discusso più a gran voce da capitalisti occidentali, trotskisti, neocon, russi della quinta colonna, rabbiosi nazionalisti russi e molte altre categorie che disprezzo intensamente, a volte, è difficile cercare di separare l’argomentazione dalla persona che la sostiene.

“Icona” del “santo” Stalin

Alcuni gruppi in Russia sono a titolo definitivo “psicopatici”. I peggiori sono i nazionalisti russi rabbiosi che si ritengono cristiani ortodossi e che credono che in realtà Stalin fosse, non scherzo, un santo cristiano!!! Vi risparmio la storia completa delle favole che queste persone hanno creato, ma la loro argomentazione di fondo è che a un certo punto nella vita di Stalin si ricordò la sua prima educazione da studente in un seminario ortodosso e che cominciò a “resuscitare la Russia” e a questo punto, come avrete indovinato, “gli ebrei” lo hanno ucciso. Si riferiscono a lui come “святой мученик Иосиф жидами убиенный” o “santo martire Iosif ucciso dagli ebrei”.

Ma tanto, c’è anche una frangia psicopatica che considera anche Ivan il Terribile come un santo. E Rasputin, perché no? Francamente, tutta la loro “teologia” è pateticamente semplice: i russi sono i migliori, tutti i leader russi sono grandi, e qualsiasi figura nella storia della Russia percepita come negativa è, naturalmente, oggetto di una campagna diffamatoria, preferibilmente da parte degli “ebrei” e quasi ipso facto un “santo”. Questo tipo di nazionalismo rabbioso è solo una forma rudimentale di culto di se stessi e di idolatria che è assolutamente in antitesi con il vero cristianesimo.

Io non presterei troppa attenzione a questi gruppi piuttosto marginali, per quanto folcloristici, di gente francamente squilibrata. Sono davvero una piccola minoranza, ancor più piccola dell’opposizione filo-occidentale “non di sistema”.

Ciò che è di gran lunga più diffuso è quello che definisco movimento di “riconciliazione”. Queste sono persone che la pensano più o meno in questo modo:

Abbiamo bisogno di sanare le divisioni derivanti dal periodo sovietico, perché sia ​​i bianchi sia i rossi erano patrioti. Dobbiamo fermare questa tendenza di rigettare grandi parti della nostra storia e mettere da parte ciò che era cattivo e mantenere e preservare ciò che era buono. Le forze anti-russe hanno, per secoli, usato bugie, inganno e propaganda per diffamare la nostra storia, e noi abbiamo bisogno di riconquistarla. Se guardate attentamente, vi renderete sempre conto che l’attivista anti-sovietico (антисоветчик) è sempre un russofobo.

Permettetemi di cominciare affermando chiaramente che l’ultima frase è palesemente falsa e che contraddice completamente la prima. Non solo ho personalmente conosciuto centinaia di russi violentemente anti-sovietici, e la cui stragrande maggioranza era al 100% patriottica. E se avete letto quello che hanno scritto i generali bianchi, i partecipanti della guerra civile russa e gli emigrati russi, vedrete che tutti amavano il loro paese, la loro gente, la loro storia e cultura. Allo stesso modo, Alexander Solzhenitsyn, l’epitome dell’antisovietismo, è sempre stato un patriota russo, a tal punto, infatti, da essere considerato come un “nazionalista grande-russo” e “anti-semita” dai liberali russi.

Inoltre, la nozione di “riconciliazione” tra i bianchi, che rappresentavano la Russia ortodossa tradizionale, monarchica, e i rossi, che erano atei rabbiosi, per lo più etnicamente ebrei, e che odiavano tutto ciò che è russo è una cosa assolutamente priva di senso. La realtà è che i “principi” rosso e bianco della storia russa si escludono a vicenda e la loro relazione ontologica è simile a quella tra i tessuti sani e un tumore maligno: hanno in comune un sacco del loro codice genetico, ma l’uno finirà sempre per uccidere l’altro.

Eppure…

Eppure vi è una certa saggezza in queste parole, ciò nonostante, o forse non in queste parole, ma almeno nelle intenzioni che trasmettono. Mentre per alcuni questa “riconciliazione” è in realtà un modo pio per coprire le atrocità commesse dal loro partito, dal loro paese o anche dalla loro famiglia, per altri si tratta di una legittima espressione di un rifiuto di demonizzare completamente personalità complesse che hanno vissuto in tempi complessi e la cui eredità deve ancora essere esaminata da generazioni di storici, piuttosto che rimanere nelle mani di propagandisti professionali. E per questo, un principio semplice ma fondamentale esige di essere proclamato e accettato:

La ricerca della verità storica non è mai una mancanza di rispetto per gli orrori subiti dalle vittime

Questo, credo sinceramente, è quello che dovrebbe guidare i futuri storici che dovranno sempre a ri-visitare e ri-valutare gli eventi del passato. La triste realtà è che è estremamente difficile indagare il passato, anche il passato recente (basti pensare a eventi come l’11 settembre, la “strage di Timișoara” o il “genocidio di Srebrenica”!). Per rendere le cose ancora peggiori, è anche una triste realtà che la storia è in gran parte scritta dai vincitori e, come Michael Parenti spiega così brillantemente, dai ricchi e dai potenti. È proprio per queste ragioni che la storiografia deve rimanere sempre revisionista, poiché un libro di storia non revisionista semplicemente non è interessante da leggere.

Credo che dopo la seconda guerra mondiale i vincitori si siano tutti impegnati in una spudorata campagna di demonizzazione dei loro nemici. Questo non vuol dire che questi nemici non fossero da parte loro dei veri e propri demoni – forse lo erano davvero – ma solo che mentre per i giornali e il cosiddetto sistema “educativo” i casi di Stalin e Hitler sono considerati un “caso chiuso “, per gli storici seri la giuria è ancora ben lontana dall’emettere un verdetto. C’è semplicemente troppo in gioco e il clima politico non è semplicemente favorevole a qualsiasi tipo di indagine, anche se in generale giusta e onesta.

Personalmente, io sono rimasto con un senso di non saperne abbastanza. Quindi tutto quello che posso condividere con voi è il mio istinto, la mia migliore stima approssimativa, se si desidera, di ciò che Stalin e l’era sovietica hanno rappresentato per la Russia. Così queste sono le mie conclusioni altamente soggettive e personali che condivido con voi come base per la discussione e non come verità totale e finale su questo tema.

1) La Russia storica è stata uccisa e completamente distrutta dal regime bolscevico/sovietico. Non c’è continuità di alcun tipo tra il governo dello tsar Nicola II e il duo Lenin-Trotskij. Pertanto, non vi è continuità tra ciò che è accaduto prima e dopo questi due leader bolscevichi. La “Russia” post-sovietica dopo il 1991 non aveva nulla in comune con la vera Russia di prima del 1917. Per quanto riguarda la Russia di Putin, la Russia dopo il 2000, si tratta di una nuova Russia che non è né quella pre-1917, né la pseudo-Russia “democratica” di Eltsin, ma una nuova Russia di cui devo ancora comprendere la vera natura e che mi stupisce assolutamente. Nei miei sogni più selvaggi nel corso degli orribili anni ’90, in particolare del 1993, non avrei mai, mai immaginato di vedere ciò che vedo oggi in Russia e questo mi dà molta speranza. Questa nuova Russia ha radici molto più forti nel periodo sovietico che nella lontana Russia pre-1917, ma ciò che ha veramente e finalmente abbandonato è la russofobia rabbiosa dei primi anni bolscevichi e degli altrettanto rabbiosamente russofobi anni ’90. E questo è davvero interessante perché oggi si trovano monarchici come Aleksandr Rutskoj e stalinisti come Nikolaj Starikov che si trovano generalmente molto d’accordo sul presente, anche se non sono d’accordo sul passato. Parlando per me, come “monarchico popolare” (una sorta di monarchismo di sinistra unicamente russo abbracciato da Fëdor Dostoevskij, Lev Tikhomirov o, in particolare, da Ivan Solonevich) anche io mi trovo d’accordo con molto di ciò che scrive Starikov. Fatta eccezione per il suo libro su Stalin che trovo assolutamente non convincente, per usare un eufemismo. Quindi questo è qualcosa di nuovo, credo. Non credo che i “rossi” o bolscevichi originali fossero in alcun modo patrioti russi, credo che questo sia un mito totale, però, credo che quelli che oggi credono in questo mito siano a loro volta patrioti sinceri e reali. Così, mentre non credo che sia possibile trovare qualsiasi terreno comune o “riconciliazione” tra i principi bianco e rosso, credo seriamente che ci sia una reale opportunità per una posizione congiunta dei patrioti russi di oggi contro il vero nemico della Russia: l’Impero Anglo-Sionista.

Date un’occhiata a questa sorprendente immagine: l’ex prigioniero del Gulag stringe la mano all’ex ufficiale del KGB. È vero che Putin era stato solo un ufficiale dei servizi segreti stranieri del Primo Direttorato (PGU) del KGB, che non aveva nulla a che fare con purghe, dissidenti o gulag, ma tuttavia indossava la stessa uniforme di quegli ufficiali del KGB che mantenevano un vigile (e per lo più incompetente) controllo sul popolo russo (Quinto Direttorato). E così questa stretta di mano è immensamente simbolica: non solo Solzhenitsyn ha ricevuto Putin in casa propria, ma tutto il suo viso era raggiante di gioia reale (come anche quello di Putin). Questi uomini erano entrambi abbastanza educati e intelligenti non solo per rendersi conto dell’immenso potere di questo momento simbolico, ma capivano anche cosa volesse dire per la Russia: che i veri russi (nel senso di civiltà, naturalmente, etnicamente la categoria “russo” non ha senso) avevano finalmente ripreso il controllo del proprio paese. Solzhenitsyn è vissuto abbastanza a lungo per vedere il suo paese (almeno la maggior parte) liberato dall’occupazione dei leader russofobi che rappresentano gli interessi stranieri e vide anche un collega ufficiale (Solzhenitsyn era un tenente decorato dell’Armata Rossa prima del suo arresto nel 1945) era ora al comando del paese.

Un momento altamente simbolico: Putin e Solzhenitsyn raggianti si stringono la mano.

Credo che Putin realizzi l’equilibrio esatto e corretto. Non ha mai rifiutato in toto il periodo sovietico, né lo ha mai idealizzato. Ha fatto riferimento in numerose occasioni ai massacri orribili e insensati di una moltitudine di innocenti cittadini russi  da parte di un regime sovietico impazzito per russofobia e odio di classe. E tuttavia ha anche mostrato il suo sincero rispetto e ammirazione per le persone che hanno vissuto durante l’era sovietica e le loro immense conquiste.

2) Vi è un maldestro tentativo di mascherare completamente Stalin e l’intero periodo sovietico. Ciò non è sorprendente di per sé. La stragrande maggioranza dei moderni dirigenti russe ha legami familiari diretti con i dirigenti sovietiche e l’infame nomenklatura sovietica. È naturale per queste persone voler giustificare le azioni dei loro familiari. Mentre ci sono milioni di russi le cui famiglie hanno sofferto terribilmente durante l’era sovietica, una percentuale molto più piccola di queste famiglie è entrata nelle élite sovietiche e, quindi, nella nuova élite post-sovietica che governa la Russia di oggi. Ci sono alcune eccezioni, naturalmente, per lo più famiglie di membri riabilitati del partito che, in seguito a questa riabilitazione, hanno mantenuto la loro fedeltà o, almeno il rispetto, per il PCUS. Infine, i milioni di persone che sono state assassinate raramente hanno lasciato molti figli alle spalle e, quando ne lasciavano, quei figli erano essi stessi oggetto di repressione come “nemici di classe” e “famiglie antisovietiche”, perciò la loro voce è stata quasi completamente annegata nella corrente del forte coro dei “riabilita tori sovietici”. Ancora una volta, questo tipo di oscillazione a ritroso del pendolo della storiografia è normale, ma sarà inevitabilmente seguita da un’altra oscillazione che produrrà risultati molto più critici. Se Dio vuole, e con il tempo, sarà finalmente fatta una valutazione corretta. Ma forse non lo sarà mai – è troppo presto per dirlo.

3) Mi sento di dire con fiducia che Stalin non era sicuramente peggiore dei suoi predecessori e che in molti modi, la natura e le politiche del regime sovietico sono cambiate in meglio sotto il suo governo. Eppure, io resto convinto che sia stato un leader senza scrupoli, che ha guidato il paese con un attento mix di terrore e di ispirazione e che non ha esitato a sacrificare milioni di persone quando era necessario raggiungere un obiettivo da lui impostato. Sono anche abbastanza sicuro che sia stato durante il regime di Stalin che i primi patrioti russi sono di nuovo entrati nella struttura del potere e che questa lenta e graduale ri-penetrazione sia continuata sotto Krusciov, Brezhnev e il resto dei leader sovietici fino al 1991. E se gli anni ’90 sono stati un orrore assoluto, è a quei patrioti cresciuti sotto il periodo sovietico (oltre che a Dio, ovviamente!) che la Russia moderna deve la sua sorprendente rinascita. Certo, come tutti sappiamo, le cose buone possono crescere in luoghi brutti, ma devo credere che almeno qualcosa nella società sovietica fosse buono, per aver prodotto leader straordinari come quelli del Cremlino di oggi.

La Russia contemporanea non ha nulla in comune con la Russia tra il 1917 e il 1953. Quindi, parlare di un possibile ritorno dello “stalinismo” non è solo sbagliato, è assurdo. Questo significa anche che le politiche di Stalin, sia che le si veda come buone o cattive, non sono semplicemente trasferibili sulla Russia di oggi. E ciò, a sua volta, significa che la discussione sul passato storico, la natura e l’eredità del dominio di Stalin, non avrà un grande impatto sul processo decisionale dei leader russi. E questo è molto positivo, perché rende l’intera discussione piuttosto astratta e, di conseguenza, sicura. Starikov e Zhirinovskij (un radicale anti-comunista che disprezza Stalin) potranno discutere fino all’esaurimento su Stalin o la monarchia (che l’auto-descritto stalinista Starikov rispetta e sostiene), ma di fronte al conflitto in Ucraina o in Siria questi dibattiti avranno ben poco impatto sulle decisioni del Cremlino.

Così, mentre io rimango estremamente critico di Stalin e di tutto il periodo sovietico, credo che l’attuale de-demonizzazione di Stalin sia una cosa molto buona e mi auguro vivamente che darà agli storici la libertà intellettuale e ideologica di cui hanno bisogno per fare il loro lavoro. Per il momento, preferisco piuttosto farmi da parte e aspettare di leggere altri dei loro libri.

Ora è il vostro turno – vi prego di dirmi cosa ne pensate di Stalin e del suo ruolo nella storia!

Saker

PS: questo post è stato lungo e complesso da scrivere. E sto disperatamente lottando contro il tempo: in questo momento ho 36 e-mail a cui rispondere e altre 3 (importanti) da scrivere. Quindi, per favore perdonatemi se vi presento questo testo nella sua versione attuale di una grezza “prima bozza”. Non volevo più aspettare prima di presentare un testo che avevo promesso di inviare la settimana scorsa. Ho pensato che quanto più vicino è ai video di Jimmie, tanto meglio è per la nostra discussione. Cercherò di trovare il tempo per correggerlo e rileggerlo nel prossimo paio di giorni (forse mercoledì, perché domani sarò via per tutto il giorno). Ora devo correre, ho ancora un sacco di lavoro da fare oggi!

Scandalo a Russia Insider (Messaggio del Saker)

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Cari amici,

podcast-saker-featured-275x200_ccon grande tristezza devo parlare della crisi a Russia Insider. Mi si spezza il cuore a vedere le persone che considero rispettabili amici, ora in aperto conflitto. Ho aspettato finché ho potuto prima di affrontare questo problema perché desideravo parlare a tutte le parti in causa e chiedere le opinioni e le valutazioni di un paio di amici fidati. Ma, visto che sono stato un grande sostenitore di Russia Insider fin dal primo giorno, non posso più rimanere in silenzio. Sento che devo affrontare questo problema e condividere con la nostra comunità un paio di considerazioni semplici e lineari:

Primo, è stato fatto un certo numero di accuse, ma a questo punto non abbiamo ancora un quadro completo dei fatti. Alcune accuse vertono sulle possibili attività fraudolente, altre su oscure connessioni di lavoro, altre sulle politiche editoriali e altre ancora su un problema in particolare (il numero di azioni che appartengono di diritto a Peter Lavelle). La mia prima reazione a questo sbarramento di accuse è semplice: non mettiamo assieme tutte le accuse in una sola imputazione; questi sono problemi separati e così devono essere trattati.

Secondo, mentre è assolutamente evidente che Peter Lavelle e qualche altra persona hanno suonato l’allarme perché sentivano che si mentiva alle persone e le si stava ingannando, e che il pubblico doveva essere avvertito, sono giunto alla conclusione che alcuni individui stanno cercando di beneficiare personalmente dal possibile collasso di Russia Insider e che hanno impiegato parecchie energie per soffiare sulle fiamme di questo conflitto. Ci sono persone là fuori che desiderano abbattere Russia Insider e creare conflitti tra vecchi amici. Non desidero che la nostra comunità assista inavvertitamente qualcuno di questi individui.

Terzo, penso che avrebbe senso separare “Russia Insider, il sito di notizie” dalle accuse di frode e/o cattiva gestione. Mentre R.I. ha pubblicato qualche articolo di cattivo gusto in passato (almeno uno che ho smentito come si deve), non ho alcun problema con questa pratica, poiché io stesso pubblico regolarmente articoli con cui non sono d’accordo (e per questo mi inguaio regolarmente). Diversamente da coloro che tentando di distruggere R.I., personalmente credo che sarebbe un disastro per noi tutti se R.I. cessasse le attività e spero che R.I. possa superare la crisi attuale per continuare il suo importante lavoro. Per me R.I. non era un concorrente, ma un valido alleato.

Quarto, comunque, con grande dispiacere, sospenderò in questo momento il mio sostegno a Russia Insider, finché non sarà svolta un’attenta verifica sulle finanze di R.I., specialmente le donazioni e le accuse fatte, ottenendo risposte punto per punto. Soprattutto non posso sostenere gli sforzi per ulteriori donazioni; cessa inoltre qualsiasi mia forma di collaborazione con Russia Insider. Continuerò a pubblicare le eccellenti analisi di Alexander Mercouris che mi ha permesso di condividere a titolo personale. Al contrario, visto che tutti i miei scritti sono “copylefted” sotto i Creative Commons CC-BY-SA 4.0 a licenza internazionale (creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0) Russia insider è, esattamente come ogni altra persona o entità, libero di ri-utilizzare qualsiasi dei miei scritti.

Quinto, ho avuto un vasto scambio di mail con Charles Bausman, e gli ho spiegato la mia posizione senza alcuna ambiguità. Sa esattamente ciò che mi aspetto che faccia. Ma credo sia nel miglior interesse di ciascuno, Russia Insider incluso, che questi scambi non siano resi pubblici. Alcuni problemi è meglio discuterli privatamente.

Infine, desidero ricordare a tutti che ciascuno di noi è un potenziale bersaglio di attacchi molto sofisticati, inclusi attacchi personali, da parte di organizzazioni multi miliardarie che hanno moltissima esperienza nello sfruttare qualsiasi debolezza o errore, che sanno esattamente come circondarci di agenti provocatori che con bravura ci invogliano a commettere azioni stupide e immorali per screditarci, entità che sono esperte nell’usare i nostri veri errori e malefatte in modo che possa servire i loro interessi. Dunque, se qualcuno tra noi commette uno sbaglio, dobbiamo anche dimostrare compassione, restando fermi sui nostri princìpi.

E’ tutto. Perdonatemi per favore se non discuto nello specifico le accuse fatte contro Charles Bausman.
Non è semplicemente il mio ruolo - non sono né giudice né accusatore. Al massimo, un amico afflitto. Il mio unico ruolo in tutto questo è stato il mio sostegno a Russia Insider. Sostegno che ritiro oggi, finché i problemi sollevati non saranno esaurientemente affrontati e permanentemente risolti. Per la cronaca: non sono stato pagato un solo dollaro da nessuno di Russia Insider, nemmeno per quei (pochi) articoli che ho scritto appositamente per R.I.

Mi rattrista inoltre vedere la cattiveria gratuita di alcuni commenti e la volontà di alcune persone di unirsi in una folla per linciare Charles Bausman. Anche se fosse veramente colpevole di tutte le accuse fatte contro di lui, tutto ciò è degno di lacrime, non di allegria al vetriolo. Il modo in cui alcuni hanno “odorato il sangue” e si sono uniti in questa “pubblica lapidazione virtuale” è disgustosa. So anche di brutti attacchi personali contro Peter Lavelle, che ha la mia più alta stima, e che condanno categoricamente come disonorevoli e indegni di venirne a conoscenza.

I cristiani ortodossi sono giunti a metà della Quaresima. Ogni giorno recitiamo la preghiera di San Efrem il Siro:

Signore delle nostre vite allontana da noi lo spirito dell’ozio, della tristezza del dominio e le parole vane.
Accorda ai tuoi servi lo spirito di castità, di umiltà, di perseveranza e la carità che non viene mai meno.
Sì, nostro Signore e nostro Re, concedici di vedere i nostri peccati e di non giudicare i fratelli, e tu sarai benedetto ora e nei secoli dei secoli. Amen.

Mi appello a tutti nella nostra comunità – religiosi o no – allo scopo di agire nello spirito di questa preghiera. Mentre non possiamo ignorare ciò che capita tra noi, e mentre dobbiamo reagire senza in nessun modo condonare ciò che è sbagliato, dovremmo tutti farlo in maniera compassionevole e onorevole.

Abbracci a tutti,

The Saker

P.S. In via del tutto eccezionale questo post non sarà aperto a commenti pubblici; siete i benvenuti a contattarmi personalmente riguardo questo argomento se lo desiderate, ma non posso promettere che risponderò poiché per me si tratta  di qualcosa di molto doloroso. Vi chiedo scusa.

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Traduzione in Italiano a cura di Sascha Picciotto per SakerItalia.it

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Cari amici,

Sarò onesto – ho bisogno di una pausa. Visto che i Cristiani Ortodossi celebreranno la Pasqua Ortodossa questa domenica, ho deciso di mettere in pausa il blog per alcuni giorni. Se avrò tempo, pubblicherò qualcosa (soprattutto dovesse verificarsi qualcosa di rilevante). Oltre questo, considerateci tutti in pausa.

Non sono sicuro di quando ricomincerò ad usare il blog, approssimativamente durante la settimana che segue la Pasqua, dopo Mercoledì 4 Maggio.

Signori, se possibile, non inviatemi email a meno che non si tratti di qualcosa di importante o critico, ok?

Abbracci a tutti,

The Saker

P.S. Vi lascio con una cantante eccezionale che ho scoperto di recente, Taisia Krasnopevtseva. Buon ascolto!

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