Esattamente tre anni fa tutto divenne più chiaro: la Junta di Kiev era pronta a qualsiasi cosa pur di affermarsi. Divenne chiaro come il sole che le Forze Armate ucraine erano pronte a sterminare tutta la popolazione del Donbass, senza fare distinzioni, non importava cioè se si fosse trattato di filo russi o semplicemente di persone che erano andate a votare al referendum. Dovevano colpire tutti, senza eccezioni a prescindere dalle opinioni, dal sesso o dall’età. Serviva render l’Ucraina unita, omogenea nelle preferenze e nelle aspirazioni, etnicamente pulita e con un solo orientamento geopolitico.
In ogni città del Donbass c’è una data che segna l’inizio della guerra, delle atrocità, del genocidio. Per Lugansk quel giorno è il 2 giugno 2014 quando l’aviazione ucraina bombardò il centro cittadino.
Quello fu un attacco cinico e insensato, sferrato contro una città indifesa e che pagò un caro prezzo in vite umane.
Alle 15:01 l’aviazione attaccò il centro, nella zona del palazzo dell’amministrazione locale, dove si trovano anche edifici residenziali, negozi, uffici, edifici di culto, l’ospedale pediatrico e una TV locale. L’attacco poi si concentrò proprio sul palazzo dell’amministrazione locale che venne colpito al terzo piano, mentre un altro ordigno scoppiò in strada nei pressi dell’entrata, l’esplosione investì la piazza e il parco dedicato agli eroi della Seconda Guerra Mondiale. Quando il fumo e la polvere si diradarono si presentò una scena orribile di morte e distruzione, i gemiti dei feriti davano la misura dell’area devastata.
Quel giorno vennero uccisi 8 civili e altri 28 rimasero feriti. A quel punto, tutto divenne più chiaro.
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Articolo a cura di Alberto Fazolo per SakerItalia.it